La leggenda del santo produttore che sognava di salvare i salmoni

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LONDRA. Itre milioni di salmoni selvaggi sopravvissuti nelle acque gelide dell’Atlantico (quattro gatti rispetto ai 30 milioni pochi anni fa) hanno affidato le loro ultime speranze di salvezza al più improbabile degli angeli custodi: un pescatore. Nome: Orri Vigfusson. Professione: produttore di una Vodka di successo che dal paese natale, l’Islanda, riesce a esportare persino in Russia. Hobby: spendere un po’ del suo ricco patrimonio per i salmoni. In parte inseguendo qualche bella preda con canna e mosca artificiale nei fiumi a nord di Reykjavik. Ma soprattutto investendo montagne di quattrini (in vent’anni si stima qualcosa come diverse decine di milioni di euro) per comprare le preziosissime licenze di pesca oceanica con la rete del pinnuto. Obiettivo: stracciarle sotto il naso dei venditori e toglierle dal mercato, provando così a fermare il salmonicidio a fini commerciali che in un paio di decenni ha spinto la specie sull’orlo dell’estinzione.
La realtà è sotto gli occhi di tutti: l’ottimo Salmo salar, l’animale selvaggio nato nei fiumi tra Russia, Irlanda, Scozia o Norvegia e poi emigrato verso il mare, è ormai una rarità da Wwf (o da gourmet per chi preferisce). Un panda dei mari che – non a caso – vale qualcosa come 60 euro al chilo. Il business della pesca industriale ha ridotto le sue “scorte”, come le chiama poco romanticamente gli statistici, al lumicino. E quello che arriva sottovuoto e imbustato sulle tavole di casa nostra è, nella stragrande maggioranza dei casi, il cugino domestico. Nato e allevato come un pesce rosso tra le maglie di reti strettissime e nutrito a botte di mangimi per la crescita accelerata per finire, dopo una vita da recluso dei mari, affumicato e a fettine sugli scaffali di qualche supermercato in giro per il mondo.
Vigfusson si è accorto del dramma ecologico sulla sua pelle. Quando i salmoni selvaggi, un anno alla volta, hanno iniziato ad abboccare sempre meno spesso ai suoi ami. Lui – convinto come ogni buon pescatore che non potesse essere colpa sua o delle esche ha cercato di capire il perché. Ha studiato, ha bussato a un po’ di università in giro per il mondo e in poco tempo ha scoperto l’arcano: la flotta di pescherecci mondiali (come accade per altre specie meno nobili, dallo sgombro al merluzzo) ha messo sotto pressione – grazie a regole blande o facilmente aggirabili
– gli stock ittici. Colpendo durissimo proprio il povero salmone, la preda più ambita di tutti, intercettato spesso proprio mentre stava per tornare a risalire i fiumi dove era nato e dove Vigfusson lo aspettava con le sue mosche.
Che fare? Il capitalista-pescator- ecologista islandese non ha avuto dubbi. Ha messo mano al portafoglio e, tra lo scetticismo generale, ha iniziato a bussare a tutte le aziende che avevano in tasca i rarissimi (e costosissimi) diritti per la caccia al prezioso animale in Atlantico. Sembrava un pazzo visionario. Invece è uno dei pochi ecologisti che ha intuito come, in un mondo governato dal capitale, l’unica legge che conti davvero è quella dei soldi. Davanti alle sue offerte, spesso difficili da rifiutare, molti armatori hanno ceduto. Il North Atlantic Salmon Fund, la charity varata dal tycoon di Reykjavik, ha già comprato a peso d’oro – e gettato a stretto giro di posta nel cestino della carta straccia – 140 delle 200 licenze esistenti sul territorio britannico.
Grazie al suo shopping quasi compulsivo, cui ha dato una mano raccogliendo donazioni pure il principe Carlo, in pochi anni i pescatori professionisti di salmoni selvaggi si sono ridotti del 75%, con 5.200 persone che si sono “pensionate” appendendo le reti al chiodo, con loro grande soddisfazione, grazie alla munificienza di Vigfusson. Che oggi è partito all’assalto dell’ultimo Eldorado della pesca selvaggia: i fiumi russi, insediati da un manipolo di irriducibili pescherecci norvegesi che pattugliano come la VI flotta le foci dei fiumi di Mosca in attesa messianica dei branchi di Salmo Salar.
Funziona davvero il metodo del capitalista verde arrivato dall’artico? I segnali sono incoraggianti, anche se forse è ancora un po’ presto per dirlo. Di sicuro Vigfusson si è conquistato il titolo di “eroe europeo” conferitogli dal prestigioso settimanale Time.
E, cosa che a lui dà ancor più soddisfazione, ha iniziato a fare proseliti. I primi a seguire le sue orme sono stati alcuni gruppi di pescatori amatoriali inglesi: il Kyle of Sutherland district salmon fisheries board ha appena fatto una colletta per comprare a 600mila sterline e togliere dal mercato dieci licenze per la rete davanti alle sue coste. Togliendo ai salmoni l’ostacolo più difficile e lasciando loro da affrontare solo la battaglia (decisamente meno impari) con canne e mosche artificiali. Ma una cosa a questo punto è certa: ogni volta che un salmone – sfuggito a predatori, tramagli e insidie della vita oceanica – imboccherà la foce di un fiume per l’ultimo sforzo della sua vita (deporre le uova per garantire la sopravvivenza alla specie), dovrà in cuor suo ringraziare una sola persona: il pescatore che, contro ogni regola di logica e buon senso, si è convertito ad angelo custode delle sue prede.


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