La Babele del 2000 si chiama Manchester Parlate 200 lingue

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La Torre di Babele dei giorni nostri è Manchester, la seconda città del Regno Unito. In questo angolo di Inghilterra, ex grande polo industriale, si incrociano pezzi di Africa, Medio Oriente e Asia come da nessuna altra parte in Europa. Negli ultimi tre anni un aumento del 30% delle lingue parlate dai 480mila abitanti l’ha resa la città a più alta densità linguistica dell’Unione Europea se non del mondo. Secondo uno studio del Multilingual Manchester Project sono ben 200 gli idiomi parlati nell’area, quattro giovani su dieci crescono bilingui o trilingui e almeno la metà della popolazione è poliglotta.
A Rusholme, un quartiere crocevia tra il centro e l’enorme periferia chiamata Greater Manchester (due milioni e mezzo di abitanti), basta fare due passi per strada per notare ristoranti libanesi, palestinesi, persiani, turchi o indiani. In pochi chilometri quadrati si passa dall’arabo al mandarino, dal giapponese al polacco, dal portoghese all’italiano. Una confusione linguistica che si dipana solo con l’uso dell’inglese, parlato, per fortuna, dal 97% degli abitanti. «Amo comunicare in inglese — dice all’Independent Daovoli Kiraruberwa, 25 anni, venditore ambulante di sim card fuggito dal conflitto in Congo e rifugiatosi a Manchester —, scrivo messaggi nella mia lingua adottiva ma i miei amici spesso mi rispondono in francese o in swahili. Alla fine, però, ci capiamo lo stesso». Come molti mancuniani, così vengono chiamati gli abitanti della città, Kiraruberwa parla correntemente tre lingue: «Il multilinguismo — spiega il professor Yaron Matras, direttore del Multilingual Manchester Project – rappresenta una grande opportunità educativa ed economica per città. Noi abbiamo bisogno di migliorare i nostri affari con la Cina, l’Asia del Sud e il Medio Oriente. Per farlo ci servono persone che parlino la lingua e che possano facilitare i contatti».
Aziende come Google o Apple che aprono gli uffici a Manchester cercano programmatori bilingue in tamil, polacco, portoghese, arabo, indonesiano, punjabi, cantonese, francese, tedesco, italiano o giapponese. Chi viene assunto può guadagnare fino a 35mila sterline all’anno (circa 40mila euro). E la cosa interessante è che il multilinguismo non ha bisogno di incentivi statali ma si autofinanzia perché si alimenta all’interno delle famiglie e delle comunità. L’anno scorso almeno 8mila studenti hanno frequentato corsi supplementari, organizzati dai genitori, nelle lingue più disparate, dal sanscrito al bosniaco. E nelle biblioteche sono almeno 20mila i libri stranieri.
A questo risultato si è arrivati grazie a una crescita della popolazione più veloce che nel resto del Paese: 19% dal 2001 al 2011 mentre la media nazionale è ferma al 7%. La lingua più parlata dopo l’inglese è l’urdu, a causa dell’immigrazione dal subcontinente indiano iniziata negli anni ‘50 ma altri idiomi stanno conquistando posti di rispetto: tra questi l’arabo, il cantonese, il polacco, il bengali e il somalo.
«Se messa a confronto con città della stessa grandezza Manchester è sicuramente quella più viva a livello di diversità linguistica, probabilmente viene sorpassata solo da metropoli come Londra e Parigi» ha spiegato ancora il professor Matras.
Monica Ricci Sargentini


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