Duecento euro per avere un bambino in arrivo la fecondazione low cost

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CON trent’anni di esperienza e 5 milioni di bimbi nati, la procreazione assistita ora può forse permettersi di abbattere i costi. Ne è convinto un gruppo di medici della fondazione belga no profit “The walking egg”.

PORTARE una tecnica come la fecondazione in vitro dai 3mila euro medi a trattamento a 200 euro servirà, nella loro visione, a combattere il problema dell’infertilità nei paesi poveri.
Nel mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, 180 milioni di coppie non riescono a soddisfare il desiderio di avere un figlio. Ma oggi quasi due procreazioni assistite su tre avvengono in Europa, Stati Uniti o Canada. Eppure, per portare la tecnica anche nei paesi in via di sviluppo, secondo i medici di The Walking Egg, basterebbe ridurre i farmaci per la stimolazione ovarica somministrati alle donne e limitare le costose cliniche a una semplice stanza di ambulatorio, con un lettino e apparecchiature che trovano spazio in un trolley.
Jonathan Van Blerkom dell’università del Colorado è l’esperto di fertilità che ha ideato il metodo da 200 euro. «La fecondazione in vitro viene presentata come una procedura complicata. In realtà l’embrione appena formato non ha grandi esigenze». Willem Ombelet, ginecologo dell’università di Hasselt e presidente di The Walking Egg, sta sperimentando la tecnica in una clinica belga, il Genk Institute for Fertility Technology.
Secondo lui un laboratorio da 300mila euro può svolgere le funzioni per le quali attualmente si usano cliniche da 2-3 milioni di euro.
Con la tecnica economica sono già nati 14 bambini. Una prima fase del trial iniziato nel 2012 ha coinvolto 35 coppie, 23 delle quali (65,7%) hanno ottenuto un embrione vitale. Le gravidanze iniziate sono state 7 (30,4%). Il primo bambino “low cost” è nato il 7 novembre 2012: un maschio di 3 chili e mezzo. Quindi, concludono soddisfatti i medici del Genk Institute, spendendo poco si ottengono risultati per nulla inferiori ai laboratori di lusso. Per il test di partenza, come sempre avviene, gli esperti belgi si sono messi nelle condizioni più semplici possibili. E così le donne trattate erano piuttosto giovani (al di sotto dei 36 anni) e con uomini senza problemi di fertilità. I risultati preliminari erano già stati presentati a luglio al congresso di Londra della Società europea di riproduzione ed embriologia.
Uso ridotto di farmaci e strumenti molto comuni sono il segreto per tagliare i costi. Per la stimolazione ormonale si somministrano pillole assai più blande rispetto ai medicinali iniettati normalmente nelle cliniche dei paesi occidentali. L’ovulazione viene seguita con un normale apparecchio a ultrasuoni. La provetta in cui avviene la fecondazione, e dove per due o tre giorni viene incubato l’embrione, viene mantenuta a ph
costante con una sorta di “digestivo”: il trucco di cui Van Blerkom va forse più orgoglioso. Un tubicino infatti inietta anidride carbonica nella provetta.
E il gas viene ottenuto da una banale reazione chimica fra acido citrico e bicarbonato di sodio, mescolati in una seconda provetta. Nelle cliniche più costose, questo processo è gestito da incubatori, filtri, gas medicali e apparecchi per il monitoraggio delle condizioni chimiche che arrivano a costare alcune decine di migliaia di euro. Per quanto riguarda la scelta dell’embrione da impiantare, le cliniche occidentali hanno un vastissimo (e carissimo) campionario di apparecchi che fotografano, scannerizzano, analizzano l’embrione in ogni dettaglio. Ombelet e Van Blerkom si accontentano invece di un normale microscopio. Dal Belgio, ora sono pronti a partire con il loro laboratorio in valigia alla volta del primo paese africano che vorrà ospitarli.


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