Smantellare l’arsenale? Una missione (quasi) impossibile

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WASHINGTON — Sono stati gli esperti a offrire il titolo ai media: la missione impossibile. Censire, mettere sotto controllo ed eventualmente distruggere le armi chimiche in Siria è considerato un compito titanico, che richiede dai 3 ai 4 anni. In questo momento, però, non sembrano esserci alternative e giustamente si tenta la via diplomatica.
CENSIMENTO
Mosca ha promesso collaborazione agli Stati Uniti, ma il problema è che Vladimir Putin non è visto come un mediatore imparziale. E’ alleato di Assad e la Russia ha fornito una parte dei gas. Tantomeno ci si fida di Damasco che ha già dimostrato in passato di ostacolare le indagini. Come primo passo è necessario «contare» l’arsenale, stimato in mille tonnellate di gas sparpagliate tra rifugi sotterranei, caserme e laboratori. Si parla di 5 centri principali e di dozzine di altri minori. Un vecchio rapporto li stimava in 40-50, uno americano e più recente parla di 19 «indirizzi conosciuti». A questi si aggiungono impianti «doppio uso», militare e civile. Nel frattempo il regime può aver disperso, per ragioni di sicurezza, il materiale e non è detto che sia disposto a raccontare l’intera verità sui sistemi strategici. Significativo il caso della base di Al Safir: un anno fa l’esercito avrebbe mosso i gas verso l’area di Homs. Le informazioni che il regime renderà pubbliche dovranno essere verificate dall’intelligence. Inoltre per il lavoro di indagine serviranno centinaia di funzionari delle Nazioni Unite, personale che deve essere ben addestrato. E di quale Paese? Possono scattare veti su nazionalità sgradite. Tutti ancora ricordano gli ostacoli e le tattiche opposte da Saddam Hussein al personale Onu prima dell’invasione del 2003. L’accesso negato agli edifici o basi, il depistaggio, le manovre per guadagnare tempo, il classico gioco delle tre carte. Un duello snervante che contribuisce ad alzare la tensione ed alimentare i sospetti.
SICUREZZA
Ci sarà un cessate il fuoco? Servirà una scorta per chi indaga? Se si continua a sparare diventa problematico per gli investigatori andare in giro. Dopo la strage del 21 agosto, una ricognizione Onu è stata sospesa perché qualcuno ha sparato contro le vetture degli ispettori. Ma attualmente nessuna delle parti sembra disposta alla tregua. Ed è arduo immaginare che convogli con i gas possano muovere attraverso zone sconvolte dai combattimenti. Un’ipotesi, emersa sulla stampa Usa, è che ordigni e razzi siano trasferiti a Tartus, dove i russi hanno un punto d’appoggio nella base navale siriana. Nelle scorse settimane si è anche parlato di portare tutto in Russia. Qualsiasi spostamento richiede un livello di sicurezza assoluto. E se qualche formazione ribelle è entrata in possesso delle armi proibite e le usa? E’ evidente che basta poco per inceppare la macchina, specie in una realtà frammentata come quella in Siria.
DISTRUZIONE
I proiettili al gas sono distrutti attraverso speciali inceneritori mentre altre componenti sono interrate. E’ un processo lento quanto costoso. Gli Usa sono ancora impegnati nell’eliminazione del loro gigantesco arsenale, un’operazione iniziata nel 1997 con un budget di spesa iniziale di 3 miliardi di dollari e salito a 35. Gli «addetti» affermano che per eliminare ogni mezzo chilogrammo servono non meno di 5 mila dollari. Chi pagherà? L’Onu? La Russia o lo stesso regime di Assad? E’ tutto da definire. Per questo oggi all’incontro tra il segretario di Stato John Kerry e il ministro degli Esteri Lavrov ci saranno anche i tecnici della «missione impossibile». Consulenti americani che dovranno verificare se esistono condizioni di fattibilità per un’operazione dove il Diavolo è davvero nei dettagli.
Guido Olimpio


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