Il colpo di coda del Caimano

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 Ma anche la presenza dei ministri di destra nel governo Letta. Come se il governo potesse sopravvivere a un atto così clamoroso.
È ormai difficile capire la logica che muove le mosse contraddittorie dell’ultimo Berlusconi. Forse non c’è neppure. La scelta schizofrenica di ritirare i parlamentari e non i ministri, sembra rispondere piuttosto a un misto di sentimenti di rabbia, disperazione e debolezza. L’ex premier sa che se si andasse davvero a una conta sull’ipotesi di far cadere il governo e tornare presto al voto, una parte dei suoi non lo seguirebbe. Con un passo avanti e due indietro, ogni santo giorno, Berlusconi cerca di tenere insieme falchi e colombe e al contempo continua a tenere la pistola puntata alla tempia dell’alleato Pd, in vista del voto sulla decadenza. A parte questo, c’è la furia dell’Unto contro l’ipotesi per lui offensiva di essere trattato come un cittadino normale. Nel suo caso, un pregiudicato normale.
Alla fine, Berlusconi e la sua creatura, il centrodestra, si trovano insieme a un bivio fatale fra quel che converrebbe loro e quel che sono. A Berlusconi, a Forza Italia e anche alle contigue aziende di famiglia, oggi converrebbe un ritiro dalla scena del padre fondatore, condannato e quasi ottuagenario, magari col ruolo nobile di king maker del futuro leader. È la strada dolorosa ma utile intrapresa vent’anni fa in Germania da Helmuth Kohl, travolto dallo scandalo dei fondi neri. Ma Berlusconi non è Kohl, Forza Italia non è la Cdu. Qui abbiamo un despota egoista ed eversivo, circondato da una corte di miracolati. È possibile che alla fine la natura prevalga sulla ragione e la destra decreti la fine delle larghe intese.
Per la verità, dopo la giornata di ieri, il governo è già un morto che cammina. È incapace di agire, bloccato sulle vicende personali di un uomo, costretto a tirare a campare fra un rinvio e l’altro. Il Consiglio dei ministri di ieri si è concluso con l’ennesimo nulla di fatto. Questo è un governo d’inizio legislatura e sembra di una mesta fine, ha soltanto cinque mesi di vita ed è già vecchio. Il pregiudizio ideologico, favorevole o contrario, che ha accompagnato la nascita delle larghe intese, ormai può e deve lasciare il posto a un giudizio sui fatti. In cinque mesi il governo non ha saputo o non è stato messo nelle condizioni di avvicinarsi a nessuno degli scopi per cui era nato. Non ha tenuto sotto controllo il debito pubblico, salito al 132 per cento del Pil, e neppure il rapporto Pil-deficit. Non ha fatto ripartire l’economia, non ha creato un posto di lavoro e non ha avviato alcuna riforma, tantomeno quella della politica o almeno del sistema elettorale. Quanto al sacro totem fondatore, la Stabilità con la maiuscola, giudichi il lettore. Nell’insieme finora il governo Letta è parso una versione peggiorativa del non rimpianto governo Monti. A riconferma che in Italia le grandi coalizioni non funzionano. Non solo e non tanto per motivi ideologi, etici o come vogliamo chiamarli. Non funzionano e basta. Berlusconi non è Kohl e tantomeno Merkel, Pdl o Forza Italia non sono comunque la Cdu, il Pd non è l’Spd e non esistono valori comuni. Quei pochi che in Germania hanno consentito l’alleanza fra destra e sinistra, le leggi, la Costituzione, l’interesse del Paese, qui sono attaccati, messi in dubbio e finanche derisi ogni giorno. E allora di che stiamo parlando?


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