Il Quirinale spiazzato: una brutalità Ma all’orizzonte non ci sono le urne

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Oportet ut scandala eveniant . Quando ha saputo dell’ultima drammatica svolta politica imposta da Berlusconi, al laico Giorgio Napolitano è venuto chissà come in mente questo passaggio del Vangelo di Matteo in cui si definisce opportuno e utile che gli scandali avvengano, perché così la verità risulterà evidente a tutti e sarà dunque chiaro chi si assume la responsabilità dello scandalo. In questo caso, lo scandalo — perché tale lo considera — di far cadere il governo e aprire una crisi al buio che metterà in estrema emergenza il Paese. Insomma: anche se non può certo dirsi colpito positivamente dallo scatto in avanti compiuto dal centrodestra, il presidente della Repubblica era in fondo consapevole che dopo l’alta tensione delle scorse settimane più di tanto non si poteva tirare avanti e che un chiarimento definitivo sulle larghe intese andava dunque fatto al più presto. E ora ci siamo per cause di forza maggiore.
È questo che ha detto a Enrico Letta a metà pomeriggio, quando il premier gli ha telefonato nella residenza di Villa Rosebery, a Napoli, informandolo di quanto era appena accaduto. «Ho capito, ci vediamo domani pomeriggio al Quirinale e ne parliamo con calma… metteremo tutte le carte sul tavolo e vedremo meglio le prospettive che si aprono adesso». Poi, il capo dello Stato si è chiuso in salotto e ha via via sfogliato i dispacci d’agenzia che davano conto della nuova «invenzione» del Cavaliere. Gli è parso — detto senza mezzi termini — il gesto disperato di un uomo disperato, ed era colpito all’idea di un gruppo di ministri costretti a lavorare (e magari ad autosospendersi a comando) avendo sulla testa la spada di Damocle di un leader in preda a umori sempre più cupi .
Non solo, confrontando l’ordine cronologico delle notizie, e la stessa dinamica dei fatti, il presidente ha verificato alcune contraddizioni che lo hanno sconcertato. Mentre alle 17.58 Renato Brunetta a Roma sosteneva che c’era «ancora tempo per trovare un accordo», Silvio Berlusconi nella sua war room di Arcore prendeva una decisione tanto delicata assieme ai soli Ghedini, Santanché, Bondi e Verdini, cioè i superfalchi. E i capigruppo, e il resto dell’organizzazione del partito?, si è domandato Napolitano. Non meritavano almeno di essere coinvolti in una discussione prima di un simile passo, che il capo dello Stato giudica una prova di irritualità, d’irresponsabilità, di brutalità?
E si chiedeva ancora: hanno tenuto pienamente conto, ad Arcore, di quale impatto potrà avere questa scelta a Bruxelles? Hanno pensato a come reagirà per esempio il Partito popolare europeo, nelle cui fila il Pdl ambisce a far parte anche nella futura e ormai vicina metamorfosi (non soltanto nominalistica) di Forza Italia? In quale modo, infine, capi, colonnelli e amazzoni del centrodestra si giustificheranno per aver lasciato cadere i tanti appelli alla stabilità lanciati nelle ultime settimane dalle istituzioni (non solo nazionali), dalle imprese, dai più autorevoli ambienti della cultura e perfino dalla Conferenza episcopale? In definitiva: davvero nessuno, tra loro, ha dubbi sul fatto che così il Pdl rischia di fare strage di quel mondo moderato che negli ultimi vent’anni ha dato fedele sostegno a Berlusconi? Perché, per come pare al capo dello Stato, resta da vedere che quell’area politica condivida sul serio e per intero, oggi, uno sbocco tanto traumatico, di cui pagherà le conseguenze l’intero Paese.
Interrogativi destinati a restare inevasi per pochissimi giorni, in quanto tra domani e martedì tutti i nodi saranno necessariamente sciolti. Di sicuro c’è che Enrico Letta vorrà parlamentarizzare la crisi del proprio governo, in modo che ogni responsabilità risulti chiara al Paese. E altrettanto sicuro è che Giorgio Napolitano non manderà gli italiani al voto subito (tantomeno con questa legge elettorale), come evidentemente sperano gli artefici dello showdown. Si andrà invece, con ogni probabilità, a un Letta bis, che potrà cercarsi la fiducia alle Camere con il saldo viatico del Quirinale.
Marzio Breda


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