C’è l’aumento dell’Iva Di nuovo a rischio la seconda rata Imu

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ROMA — Dopo l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% che scatterà martedì prossimo, e che appare ormai ineluttabile, si profila per gli italiani anche il pagamento, a metà dicembre, della seconda rata dell’Imu sulla prima casa. Le risorse per evitare il pagamento dell’imposta sugli immobili, 2,4 miliardi di euro già conteggiati nel bilancio di quest’anno (come il miliardo che arriverà dall’aumento Iva) devono essere trovate entro il 15 ottobre, secondo l’impegno politico preso dal premier, Enrico Letta. Ma con la crisi di governo è molto difficile che nella maggioranza si arrivi ad un accordo. Potrebbero esserci problemi anche sulla prima rata dell’Imu. Il decreto che l’ha cancellata è ancora in Parlamento e potrebbe finire ostaggio della crisi politica. Se non dovesse essere convertito in legge, verrebbero a mancare, oltre al presupposto per l’abbattimento della seconda rata, anche le coperture previste per compensare lo sgravio di giugno. Salterebbero, tanto per cominciare, i 600 milioni attesi dalla sanatoria sui giochi dei Monopoli. E bisognerebbe a quel punto trovarli con altre misure di bilancio entro l’anno, il che complicherebbe non poco le cose, visto che il deficit è già fuori linea.
La manovra per riportarlo entro il tetto del 3% del prodotto interno lordo è saltata insieme al decreto per il rinvio dell’Iva. Non sarebbe stata una passeggiata, ma rischia di diventare un’operazione ancor più complicata, soprattutto se lo sforamento da correggere fosse più ampio di quel decimo di punto segnalato una settimana fa nell’aggiornamento del Def. Le coperture ipotizzate dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, per correggere il deficit (aumento degli acconti Ires e Irap, aumento delle accise sulla benzina) erano state subito definite «inaccettabili» dal Pdl. Un’intesa politica appare molto difficile, se non impossibile, anche sulla Legge di Stabilità che il governo deve presentare entro il 15 ottobre, e che doveva essere lo strumento per il taglio del cuneo fiscale, la riforma dell’Imu e della Tares, la revisione delle aliquote Iva. Tutti interventi per i quali deve essere trovata una copertura finanziaria con tagli di spesa o nuove entrate, comunque con operazioni molto difficili dal punto di vista politico, di fatto impensabili senza un accordo tra il Pd e Pdl. Se tuttavia il governo riuscisse a tenere in linea i conti di quest’anno, per i conti pubblici non ci sarebbero più grossi rischi di deragliamento nel 2014.
Dal prossimo anno, infatti, entra in vigore la modifica costituzionale che garantisce il pareggio di bilancio con un tetto alla spesa pubblica, che il governo sarebbe automaticamente obbligato a correggere non appena dovesse essere sforato. Inoltre il nuovo regime, almeno finché non si sarà raggiunto il pareggio strutturale di bilancio, cioè nel 2015, garantisce la destinazione alla riduzione del deficit pubblico di ogni eventuale extra-gettito. Se le entrate dovessero insomma andare meglio del previsto, ogni «tesoretto» verrebbe impiegato per tagliare l’indebitamento e accelerare i tempi del risanamento di bilancio.
La vera incognita sul futuro è rappresentata dalla variabile dello spread, che se dovesse riprendere ad allargarsi come conseguenza dell’instabilità politica rischierebbe davvero di fare danni molto seri. Già ieri, dopo le dimissioni dei ministri del Pdl, il differenziale tra il nostro Btp ed il Bund tedesco è salito a 270 punti base, 35 più di una settimana fa. E ogni 10 punti base in più, secondo i calcoli del Tesoro, equivalgono a regime a un miliardo di euro di maggior spesa per gli interessi pagati sui titoli di Stato.
Mario Sensini


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