Jovanka, vedova di Tito e della Jugoslavia Dalla ribalta mondiale all’oblio in povertà

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Fu la regina dell’eleganza negli anni della dolce vita socialista nella Jugoslavia di Tito, l’uomo che aveva sposato, appena ventottenne, nel 1952 quando lei era una tenente dell’esercito e lui, sessantenne, il capo indiscusso della Repubblica Socialista Federale. Ieri Jovanka Broz è morta in un ospedale di Belgrado per un attacco cardiaco. Avrebbe compiuto 89 anni il 7 dicembre. Gli ultimi 36 anni li ha passati, povera e dimenticata, reclusa in un piccolo appartamento statale di Dedinje, una zona residenziale di Belgrado, che per molto tempo non ha avuto nemmeno il riscaldamento. Nel testamento l’ex «first lady» comunista ha chiesto di essere seppellita accanto al marito da cui era stata separata a forza nel 1977, tre anni prima della sua morte. «Tito mi ha amata fino all’ultimo», aveva confidato a un settimanale di Belgrado in una rara intervista.
Serba, nata nelle campagne della Croazia nel 1924, a 17 anni Jovanka si unì ai partigiani, la resistenza comunista jugoslava diretta da Tito durante la Seconda guerra mondiale. Poi nel 1950 il trasferimento come segretaria nel palazzo del governo di Belgrado e il colpo di fulmine. La bella guerrigliera bruna diventò per Josip Broz moglie (la terza), consigliera e spalla inseparabile. In casa e all’estero, coperta di diamanti e di pellicce. Insieme la coppia ospitò la famiglia reale britannica nelle campagne di Leskovac, invitò Sophia Loren a Villa Bianca, la residenza del maresciallo all’interno dell’arcipelago delle isole Brioni dove la Jugoslavia si guadagnava un posto di prima fila sulla scena politica mondiale come Paese leader dei non allineati. Tranne Adenauer e de Gaulle, Tito incontrò tutti: Elizabeth Taylor e Richard Burton, Gina Lollobrigida e Jackie Kennedy, il padre dell’Egitto moderno Gamal Abdel Nasser e il pandit Nehru, l’uomo che insieme a Gandhi portò l’India all’indipendenza. E poi Ho Chi Minh, Fidel Castro, Nikita Krusciov, Willy Brandt, Saddam Hussein.
Due anni fa una mostra al Museo della storia della Jugoslavia di Belgrado ha svelato il lato borghese e più nascosto della coppia presidenziale della vecchia Federazione. Vestiti di Dior, uniformi degne di un re, guanti di pelle, mutande di seta, scarpe inglesi, cappelli italiani. Si racconta che subito dopo il matrimonio Jovanka trascorse mesi all’ambasciata jugoslava a Roma per imparare le buone maniere dell’alta società e le regole del protocollo. Da allora in poi assunse una postura impeccabile e quel look elegante che ancora ricordiamo.
Una vita dorata finita di colpo nel 1977 quando la moglie del maresciallo sparì dalla circolazione dopo essere stata sospettata di aver tramato con i generali jugoslavi: «Vollero regolare i conti con mio marito attraverso di me — raccontò nel 2013 — e riuscirono a separarci». Quando Tito muore nel 1980 le viene ordinato di lasciare la residenza presidenziale e trasferirsi a Dedinje. «Mi cacciarono di casa in camicia da notte senza la possibilità di prendere le mie cose, una foto di noi due, una lettera, un libro. Da allora fui trattata come una criminale» ricordò lei in un’altra intervista.
Nel 1983 comincia una lunga battaglia per rimpossessarsi di 860 articoli, tra cui vestiti, gioielli, argenterie, porcellane. Nel 2006 le viene finalmente riconosciuta una pensione, nel 2009 le viene reso il passaporto e la libertà ma non i suoi beni. Ieri se ne è andata senza aver vinto l’ultima battaglia.
Monica Ricci Sargentini


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