Davanti al Kenya la Corte è nuda

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La Corte è nuda. E, fuor di metafora ioneschiana, questa volta rischia realmente il collasso definitivo a circa dieci anni dalla sua istituzione. Sì, perché quanto è accaduto pare proprio essere il frutto di un ricatto tacito del Kenya – partner strategico dell’Occidente nella lotta al terrorismo islamico di matrice africana oltreché hub di importanti gruppi bancari e commerciali europei e statunitensi – a cui gli stati membri europei della Corte penale internazionale (Cpi) hanno alla fine della fiera ceduto, provocando un altro scricchiolio strutturale negli ingranaggi del giovane Tribunale. Il 28 novembre scorso si è conclusa a L’Aja la dodicesima assemblea annuale dei 122 stati membri della Cpi.

Tra le risoluzioni adottate quelle che prevedono la possibilità per gli imputati di partecipare al processo in video-conferenza e concedono deroghe speciali per quelli che ricoprono cariche governative. A beneficiare nell’immediato delle modifiche al Regolamento procedurale sarà l’attuale presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, il cui processo per crimini di guerra e contro l’umanità inizia il prossimo febbraio. Primo capo di stato in carica ad apparire davanti alla Corte, insieme al suo vice e all’epoca acerrimo nemico leader del partito d’opposizione, William Ruto, Kenyatta è accusato di aver orchestrato le violenze post-elettorali del 2007-2008 in cui circa 1200 persone vennero brutalmente massacrate.

Se la decisione di cambiare le regole può in parte allentare le tensioni con un partner strategico come il Kenya, d’altro canto la concessione di una deroga, e quindi di una sorta di esenzione in nome della carica ricoperta, lede l’immagine della Corte quale organismo sovranazionale e supremo di lotta contro ogni cultura dell’impunità e cede al meccanismo diabolico di una terza via nella risoluzione di contenziosi, quella cioè di piegare la norma alle ragioni dei palazzi. A scricchiolare è l’articolo 27 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte in base al quale nessun tipo di immunità è concessa in nome della carica governativa e istituzionale ricoperta. Secondo le nuove regole infatti i giudici possono ora concedere deroghe a quegli imputati incaricati di svolgere compiti pubblici straordinari al più alto livello nazionale».

Cavalcando un malessere comune tra gli stati africani che accusano la Cpi di perseguire una politica punitiva anti-africana, Kenyatta e Ruto sin dalla loro elezione alle più alte cariche dello stato hanno tentato in ogni modo di gettare discredito sulla Corte, mettendosi alla testa di una crociata fortemente sostenuta dalla stessa Unione africana. Gli emendamenti recentemente approvati accolgono le richieste avanzate dal Kenya di modifiche sostanziali allo statuto dopo che due settimane fa il Consiglio di sicurezza dell’Onu con sette membri tra cui Russia e Cina favorevoli e otto astenuti, tra cui Francia, Stati uniti e Gran bretagna – si è spaccato sulla precedente richiesta del Kenya di rimandare di un anno il processo per permettere alla sua classe dirigente di occuparsi adeguatamente della minaccia terrorismo balzata alla ribalta con l’attacco qaedista di Al Shabaab al Westgate nel settembre scorso.

Mentre meno di due mesi fa a chiusura di un vertice straordinario erano stati i paesi dell’Unione africana, minacciando un’uscita in massa dalla Cpi, ad accusare quest’ultima di essere divenuta da corte d’eccellenza garante di equità e legalità una corte delle due misure, strumento politico nelle mani dell’Occidente, ora sono le associazioni per la difesa dei diritti umani a esprimere sgomento per le modifiche, che intaccherebbero l’immagine di icona per antonomasia della giustizia sovranazionale del Tribunale penale dell’Aia .


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