Volgograd, terrore alla stazione donna kamikaze fa strage: 16 morti

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MOSCA — Il poliziotto in servizio al metal detector della stazione di Volgograd l’ha riconosciuta tra mille donne, forse perché impacciata dall’esplosivo che portava sotto al cappotto. Ha allora tentato di fermarla, ma la kamikaze ha azionato il detonatore: con i dieci chili di tritolo che aveva indosso, in tasche piene di proiettili per rendere ancora più letale lo scoppio, ha ucciso almeno 16 persone. Senza l’intervento del poliziotto-eroe, anche lui dilaniato dalla bomba, le vittime sarebbero state molte di più, poiché la terrorista stava dirigendosi verso un luogo molto affollato per vendicare con il suo gesto chissà se il padre o il marito. La telecamera che ha ripreso la deflagrazione di ieri all’interno della stazione mostra prima un raccapricciante lampo arancio, poi colonne di fumo nero che escono dalle finestre infrante. Tutto ciò è accaduto alle 12.45, nel momento di massima affluenza di viaggiatori in partenza per le vacanze di fine anno.
Torna dunque il terrorismo separatista di matrice islamica in Russia. Si tratta del secondo attentato nel giro di tre giorni nel sud della Federazionee e del secondo attentato a Volgograd negli ultimi tre mesi. Qui, infatti, nella città ricostruita nel 1945 sulle macerie di Stalingrado, lo scorso ottobre una kamikaze del Daghestan, moglie di un jihadista ammazzato dalle forze di sicurezza russe, si era fatta saltare in aria in un autobus pieno di studenti uccidendo 6 persone.
Volgograd dista meno di 700 chilometri da Sochi, dove tra poche settimane avranno inizio i Giochi olimpici invernali. E la sanguinosa minaccia islamica è il nuovo incubo del presidente russo Vladimir Putin, che questi Giochi ha fortemente voluto, e che inaugurerà lui stesso il prossimo 7 febbraio. Adesso, oltre all’angoscia di ritrovarsi alla cerimonia di apertura circondato solo da qualche leader da strapazzo, perché i grandi del pianeta, quali Angela Merkel e Barack Obama, hanno già dichiarato che non andranno,
si profila la paura per attacchi terroristici di quell’indipendentismo caucasico che è lentamente scivolato nel radicalismo islamico, e che in Cecenia, Inguscezia e Daghestan o Ossezia provoca quotidianamente attentati più o meno mortiferi.
Il 3 luglio scorso, Doku Umarov, il capo degli islamisti del turbolento Caucaso russo, aveva incitato in un video i jihadisti a portare morte e distruzione a Sochi. Umarov, che è anche l’uomo più ricercato di tutte le Russie per aver rivendicato l’attentato del 2011 contro l’aeroporto Domodedovoa Mosca (37 morti) e quelli dell’anno prima nella metro della capitale (40 morti), ha definito i Giochi «danze sataniche organizzate sui resti dei nostri antenati, e sulle ossa dei molti musulmani uccisi sulla nostra terra». Umarov è alla testa dell’Emirato del Caucaso, un movimento nato tra le due guerre d’indipendenza in Cecenia che già figura nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata da Washington.
Sempre che ci sia lui dietro all’attentato alla stazione di Volgograd, o dietro all’autobomba che l’altro ieri ha falciato la vita di tre uomini nella città Pjatigorsk, vicinissima a Sochi, da quando Umarov ha lanciato la sua jihad contro la «grottesca
farsa dei Giochi invernali di Putin », il Caucaso russo è in preda al terrore. Dopo l’attacco di ieri, Putin ha ordinato di rafforzare le misure di sicurezza e garantire ogni tipo di assistenza alle decine di feriti, anche trasportandoli a Mosca, se necessario. Ma per i jihadisti, i bersagli russi sono infiniti.
L’attentato di ieri è stato portato a termine da una donna, proprio come quello di ottobre. L’arruolamento di terroriste è frequente in Russia dal giugno 2000, quando iniziò la seconda guerra in Cecenia. Da allora, le kamikaze hanno ucciso complessivamente 790 volte: questa è la cifra ufficiale, che include però le centinaia di vittime dell’assalto del teatro Dubrovka di Mosca nel 2002 e del sequestro della scuola di Beslan nel 2004, molte delle quali provocate dall’intervento delle forze di sicurezza. Dopo Beslan, per 6 anni le donne del Caucaso smisero di caricarsi di tritolo per seminare morte tra la folla. Ma nel 2010 sono ripresi gli attentati. Anche se da allora, a perpetrarli non sono state donne cecene, bensì daghestane.


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