Quell’idea della Thatcher: i militari contro i minatori

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Disposta a sperimentare le tattiche dei regimi militari sudamericani (anni Settanta) pur di piegare la resistenza dei minatori. È una Thatcher in versione totalitaria quella che esce dai documenti ai quali è stato tolto il sigillo della segretezza. Una Lady di Ferro che sfiorò l’idea di dichiarare «lo stato di emergenza» con l’intervento dei soldati per superare il caos e per non cadere «negli abissi». Che il lontano 1984 rappresenti nella storia politica contemporanea britannica un anno di svolta importante è risaputo. Fu l’atto finale della resa dei conti fra il governo di Margaret Thatcher e minatori che bloccavano il Paese chiedendo l’aumento del salario minimo garantito e la bocciatura delle strategie industriali miranti a ridimensionare e chiudere le attività estrattive. Non si trattò di una vertenza di settore, corporativa e senza significato, quanto piuttosto di una battaglia campale il cui oggetto erano, in generale, il potere del sindacato e la sua capacità di condizionare le strategie economiche. Dieci anni prima, nel 1974, i minatori avevano vinto e umiliato il conservatore Edward Heath. Questa volta a inginocchiarsi furono i lavoratori. E da allora il baricentro delle relazioni industriali è cambiato per sempre. Anche per tale ragione la signora Thatcher, al secondo mandato a Downing Street (1983), è diventata più che mai la Lady di Ferro. Tutti, a destra e a sinistra, tory e laburisti, hanno sempre riconosciuto a «Maggie» una forza decisionale straordinaria, virtù sconosciuta ai leader e ai partiti abituati ai piccoli compromessi. È l’immagine pubblica di una donna che è stata fra i grandi protagonisti del Ventesimo secolo: convinta delle sue idee, mai incline a piegare la testa. Le carte, con i resoconti sulle attività a Downing Street di trent’anni fa, consolidano l’iconografia classica su Margaret Thatcher che ribaltò le convenzioni della politica e dei suoi molli protagonisti del tempo. Ma aggiungono anche dettagli su certi vizi gravi e taciuti della signora che ha dominato la scena per tre legislature. Aveva già ammesso, quando ormai era fuori dai giochi, un debole per il dittatore cileno Pinochet. Qualcuno aveva sostenuto che era stato uno sbandamento dell’età. Nella testa di Maggie era covato invece, nel periodo della sua indimenticabile leadership, qualcosa di più serio: la suggestione di un peccato, per fortuna soffocato dalla sua intelligenza.


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