La sinistra cresce in tutta Europa, tranne in Italia (e Polonia)

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Già lo sap­piamo: il pros­simo par­la­mento euro­peo vedrà una nutrita rap­pre­sen­tanza di euro­scet­tici di ogni genere. Dai nostrani Cin­que­stelle ai bri­tan­nici dello Ukip, che vogliono l’uscita del Regno Unito dall’Unione euro­pea, pas­sando per il Front Natio­nal di Marine Le Pen: forze che, in realtà, sono molto diverse tra loro, e che non sie­de­ranno negli stessi ban­chi. La giu­sta atten­zione di cui gode il feno­meno dell’euroscetticismo rischia tut­ta­via di oscu­rare altri pro­cessi poli­tici in corso a livello comu­ni­ta­rio: primo fra tutti, il pro­ba­bile raf­for­za­mento del gruppo più a sini­stra dell’Eurocamera, il Gue/Ngl (Gau­che uni­taire euro­péenne /Nor­dic green left).

È il rag­grup­pa­mento di cui fanno parte le orga­niz­za­zioni riu­nite nella Sini­stra euro­pea (Se), il par­tito con­ti­nen­tale che can­dida Ale­xis Tsi­pras a pre­si­dente della Com­mis­sione, il «governo» della Ue. Il gruppo par­la­men­tare e il par­tito non vanno con­fusi, per­ché nel primo sie­dono anche depu­tati che sono espres­sione di forze che non fanno rife­ri­mento alla Se: ad esem­pio, i comu­ni­sti orto­dossi greci (Kke) e por­to­ghesi (Pcp), ma anche i «rosso-verdi» nor­deu­ro­pei (come i socia­li­sti olan­desi, ma non quelli danesi, che stanno con gli eco­lo­gi­sti). Le più impor­tanti for­ma­zioni che costi­tui­scono la Se sono la tede­sca Linke, la spa­gnola Izquierda Unida, il fran­cese Front de Gau­che e, natu­ral­mente, la greca Syriza. Il mem­bro ita­liano è il Prc, il cui ruolo fu deter­mi­nante per la sua crea­zione nel 2004.
Sin dalla nascita, la Se ha abbrac­ciato un euro­pei­smo cri­tico che l’ha con­dotta a met­tere in discus­sione l’architettura isti­tu­zio­nale e le poli­ti­che dell’Ue ma senza per que­sto soste­nere un ritorno alle sovra­nità sta­tali. A dif­fe­renza di quanto fanno, invece, i par­titi comu­ni­sti greco e por­to­ghese, inclini alla reto­rica nazional-patriottica con­tro una Ue inter­pre­tata pura­mente come «un pro­getto impe­ria­li­stico». Vena­ture autar­chi­che che si ritro­vano, pur se in misura minore e dif­fe­rente, anche nei socia­li­sti olan­desi, che alle ultime legi­sla­tive dei Paesi Bassi sfio­ra­rono il 10%, bene­fi­ciando in parte della stessa onda euro­scet­tica che ha fatto le for­tune del popu­li­sta di destra Geert Wil­ders.
La piat­ta­forma pro­gram­ma­tica di soste­gno a Tsi­pras è chiara nel riven­di­care una «rifon­da­zione della Ue» attra­verso la modi­fica dei trat­tati, che può essere chie­sta dal par­la­mento di Stra­sburgo (art. 48 Trat­tato Ue): l’obiettivo è di cam­biarne il segno ine­qui­vo­ca­bil­mente neo­li­be­rale, facendo leva sulle con­trad­di­zioni all’interno delle stesse norme comu­ni­ta­rie. I diritti enun­ciati nella Carta di Nizza, infatti, mal si con­ci­liano con le poli­ti­che ultra-privatizzatrici fon­date sul pri­mato della «libera con­cor­renza nel mer­cato comune interno» che innerva la «costi­tu­zione eco­no­mica» della Ue. Come afferma la riso­lu­zione dell’ultimo con­gresso della Se, tenu­tosi a dicem­bre a Madrid, sono innan­zi­tutto i trat­tati «costi­tu­zio­nali» – ancor prima che le scelte poli­ti­che con­crete – a ren­dere impos­si­bile la coe­sione sociale e ter­ri­to­riale del Vec­chio con­ti­nente, sem­pre più diviso fra ric­chi e poveri, e fra un nord cre­di­tore e un sud inde­bi­tato.
Oltre all’effetto-traino della can­di­da­tura del lea­der greco, a con­durre la Se ad un buon risul­tato dovreb­bero essere le per­for­mance elet­to­rali dei suoi prin­ci­pali com­po­nenti. Un son­dag­gio dell’altro ieri attri­bui­sce alla Linke un con­for­tante 8%, che signi­fica un incre­mento rispetto a 5 anni fa. Con il vento in poppa è Izquierda Unida, che viag­gia intorno al 12,5% a fronte del 3,7% che rac­colse nel 2009. In Fran­cia, il Fronte di sini­stra che uni­sce il Pcf e il Par­tie de Gau­che dell’ex can­di­dato pre­si­den­ziale Jean-Luc Mélen­chon non dovrebbe fare peg­gio della volta pre­ce­dente, quando ottenne il 6%. Fra gli stati che «pesano» in ter­mini di seggi nell’Eurocamera, gli unici a non aver avuto rap­pre­sen­tanti nel Gue/Ngl sono stati l’Italia e la Polo­nia, men­tre dal Regno Unito è appro­dato a Stra­sburgo un rap­pre­sen­tante dei repub­bli­cani socia­li­sti nord-irlandesi del Sinn Féin.

A mag­gio non si pre­ve­dono modi­fi­che del qua­dro poli­tico polacco o bri­tan­nico che inte­res­sino la Se, men­tre il con­tri­buto ita­liano dipen­derà dalla «lista Tsi­pras» in via di defi­ni­zione. La pre­senza di depu­tati del nostro Paese potrebbe rive­larsi deter­mi­nante per ren­dere il gruppo della sini­stra anti-austerità più grande di quello liberal-democratico che, con ogni pro­ba­bi­lità, sarà molto infe­riore a quello della legi­sla­tura che sta ter­mi­nando: i libe­rali tede­schi, che nel 2009 ebbero l’11%, sono ora allo sbando, così come in enorme affanno sono i cen­tri­sti fran­cesi di Fra­nçois Bay­rou, che assai dif­fi­cil­mente man­ter­ranno l’8,4% con­qui­stato cin­que anni fa. Molto impro­ba­bile anche la pre­senza di «libe­rali» ita­liani: cin­que anni fa sbarcò la con­si­stente truppa dell’IdV (8%), par­tito ormai desa­pa­re­cido. Potrebbe toc­care ai mon­tiani rac­co­glierne il testi­mone, ammesso che supe­rino lo sbar­ra­mento al 4%.

Come si ricava anche da un recente stu­dio dell’autorevole think tank Notre Europe, i rap­porti di forza interni all’Eurocamera potreb­bero dun­que mutare in modo signi­fi­ca­tivo, e non solo per l’ingresso mas­sic­cio di euro­scet­tici. Dall’arretramento dei libe­rali e dalla cor­ri­spon­dente cre­scita della Se potreb­bero venire impor­tanti con­se­guenze poli­ti­che: ad esem­pio, ai primi risul­te­rebbe dif­fi­cile man­te­nere la stessa quota di potere di cui oggi godono nella Com­mis­sione. Sono libe­rali, infatti, due personaggi-chiave della Ue degli ultimi anni: l’ineffabile Olli Rehn, il vicepresidente-sacerdote dell’austerità, e Karel de Gucht, il com­mis­sa­rio al com­mer­cio che sta con­du­cendo in gran segreto i nego­ziati per il Trat­tato di libero scam­bio con gli Stati Uniti (Ttip). Costruire un’altra Europa è com­pli­cato, ma diven­te­rebbe più facile farlo senza due come loro a Bru­xel­les, e con una Sini­stra euro­pea più forte fra i ban­chi di Strasburgo.


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