DIRITTI. Una Guantanamo afghana con fondi italiani. Torture in Yemen

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(da “il manifesto”, 7 gennaio 2006)

Guantanamo afghana, fondi italiani

ldi del contribuente italiano sono serviti a ristrutturare il carcere di Pol-e Charki, a Kabul, per migliorare le condizioni di detenzione in Afghanistan. Invece, gli Usa ne faranno una prigione di massima sicurezza per sospetti terroristi

MARINA FORTI

Il governo italiano ha contribuito in modo generoso alla riforma penitenziaria in Afghanistan, e in particolare a un progetto di ristrutturazione delle carceri di Kabul per migliorarvi le condizioni di detenzione: un milione di dollari, già stanziato per rimodernare il vecchio carcere di Pol-e Charki, vecchia struttura di epoca sovietica. Nelle intenzioni delle Nazioni unite, il carcere così rinnovato sarà il modello a cui dovranno adeguarsi tutte le prigioni afghane, nel rispetto degli standard minimi internazionali sul trattamento dei detenuti. Belle parole, che si leggono nei documenti delle Nazioni unite e anche del nostro ministero degli esteri. La realtà è che con i soldi del contribuente italiano il carcere di Pol-e Charki sta per diventare un nuovo carcere di massima sicurezza dove trasferire parte dei detenuti della base navale americana di Guantanamo: un`altra delle prigioni speciali degli Stati uniti nel quadro della «guerra al terrorismo». La notizia che gli Usa preparano una «Guantanamo 2» in Afghanistan è stata pubblicata giovedì dal quotidiano britannico Financial Times (e ripresa ieri da molti quotidiani, compreso il manifesto). Il progetto è trasferire i prigionieri di origine afghana in Afghanistan, in modo da allentare le critiche che piovono da più parti sull`amministrazione Usa per il fatto di mantenere centinaia di persone agli arresti senza accuse precise.

A Guantanamo sono entrate circa 750 persone dai primi mesi del 2002, per lo più prese prigioniere in Afghanistan durante e subito dopo i bombardamenti che portarono al crollo del regime dei Taleban nell`autunno 2001: «nemici combattenti», secondo l`amministrazione di Washington, che ha rifiutato di riconoscere loro i diritti riconosciuti dalle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra. Solo nel 2005, dopo un ordine della Corte Suprema, sono cominciate audizioni per definire lo status e le accuse dei detenuti. Molti sono allora risultati detenuti «per errore». Ad agosto scorso 510 persone erano ancora detenute a Guantanamo; 167 erano state rilasciate (senza imputazioni né una parola di scuse), 67 trasferite alla custodia di altri governi. Sempre in agosto il governo Usa aveva annunciato che 110 dei restanti detenuti di Guantanamo, afghani, saranno presto trasferiti in Afghanistan.

Le forze Usa hanno già i loro detenuti «speciali» in Afghanistan: circa 500 persone, rinchiuse senza accuse o processo nella base aerea di Bagram vicino a Kabul o in quella di Kandahar nel sud, più un numero imprecisato di persone in carceri segrete sparse per il paese, come sospetti terroristi.

Per trasferire i prigionieri di Guantanamo dunque gli Usa hanno bisogno di un luogo apposito in Afghanistan, di massima sicurezza. E questo nuovo carcere speciale, rivela il Financial Times, sarà appunto Pol-e Charki. Il quotidiano afferma che le Nazioni unite e l`Unione europea hanno resistito al piano americano di farne un carcere per sospetti di terrorismo: ma il mese scorso il Corpo genieri dell`esercito Usa ha annunciato un appalto per la costruzione di celle di massima sicurezza proprio a Pol-e Charki, segno che alla fine è prevalsa la volontà degli americani.

La ristrutturazione del carcere, avviata la primavera scorsa dalle Nazioni unite, fa parte di un progetto più generale per la ricostruzione del sistema giudiziario in Afghanistan. La responsabilità di guidare questo capitolo della ricostruzione è stato affidato all`Italia, che dunque sta coordinando il lavoro: dalla riscrittura dei codici di procedura penale e civile, un codice minorile, la creazione di «corti itineranti», una legge appena approvata sui diritti dei detenuti, la formazione di giudici e avvocati – fino alla riabilitazione della Corte d`Appello e delle carceri di Kabul, e poi delle carceri provinciali. Per questo Roma ha stanziato in tutto 22 milioni di euro negli ultimi tre anni. E` uno degli aspetti migliori dell`impegno internazionale, almeno in teoria: si pensi che oltre metà degli afghani non ha accesso alla giustizia, si legge su Irin News (bollettino umanitario delle Nazioni unite), e che «nelle prigioni di Kabul ci sono persone detenute da molti anni senza sentenza, e nella prigione femminile ci sono donne “criminali“ secondo la tradizione, ma non secondo la costituzione», riconosce il ministro della giustizia afghano Ghulam Sarwar Danish.

La ristrutturazione delle carceri in particolare è stata chiesta dal Unodc, il programma Onu per la lotta alla droga e al crimine: riguarda Pol-e Charki e il Carcere maschile di Kabul, e il centro di detenzione femminile presso la sede centrale della polizia. Per il blocco 1 di Pol-e Charki sono stati stanziati 2 milioni di dollari, di cui uno già fornito dal governo italiano. Il lavoro era al 90% completato l`estate scorsa, poi sarà la volta del blocco 2. Ma nel frattempo il nuovo carcere ha cambiato destinazione.

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E a Sanaa si tortura, per conto dell`amministrazione Bush

Lo Yemen è uno degli stati che (assieme a Egitto, Giordania, Arabia saudita) collabora più attivamente alla cosiddetta «guerra al terrorismo» proclamata dell`amministrazione americana all`indomani degli attacchi dell`11 settembre 2001. I metodi utilizzati dalle autorità di Sanaa per dare man forte agli Stati uniti vengono però considerati «illegali» dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Poco più di un mese fa Amnesty international ha rivolto un appello al presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, per chiedergli di fermare le «detenzioni illegali di cittadini yemeniti» promosse direttamente da Washington. L`accusa a Sanaa è quella di detenere a tempo indeterminato e senza processo alcuni «sospetti terroristi», di rientrare cioè a pieno titolo nella rete di stati a cui il governo Bush s`appoggia per interrogare – fuori dal territorio americano – persone catturate per conto degli Usa che negli States non potrebbero essere interrogati senza violare le leggi che proibiscono la tortura. Denunce di torture e sparizione di sospetti terroristi – soprattutto islamisti – sono frequenti nello Yemen. Attualmente secondo Amnesty ci sono almeno quattro persone detenute – per conto degli Usa – nello Yemen, senza alcuna garanzia democratica. Le autorità yemenite hanno risposto ad Amnesty che stanno aspettando da Washington istruzioni relative ai quattro, prima di decidere sul loro destino. Se gli Usa decideranno che possono essere scarcerati li libereremo, altrimenti resteranno in cella, hanno fatto sapere da Sanaa. Dietro le sbarre senza alcun diritto, come prevede la cosiddetta «guerra al terrorismo».

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