Utero in affitto in India La coppia italiana viene assolta a metà

Utero in affitto in India La coppia italiana viene assolta a metà

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In attesa di una decisione della Consulta (oggi) sulla legge 40 riguardo alla fecondazione eterologa, ancora una volta una coppia italiana finisce davanti a un giudice per un figlio concepito all’estero ricorrendo a un utero in affitto e alla donazione di un ovocita. E ancora una volta la vicenda giudiziaria si conclude con un’assoluzione. Coppia milanese. Lei 54 anni (sterile per un tumore curato con radio e chemioterapia), lui 48. Vogliono avere un figlio. Seme del padre, ovociti di una donatrice anonima, utero in affitto. Impossibile in Italia per la legge 40, non per la scienza. La soluzione: un viaggio all’estero. E la coppia decide per l’India. Non in Inghilterra, Romania, Grecia, Ucraina come fanno tutti. Paesi (Ue ed extra Ue) dove, oltre all’eterologa, è ammesso anche l’utero in affitto.
Nel 2011, ultimi mesi dell’anno, si reca a Mumbai. Comincia la procedura. Fecondazione eterologa e impianto dell’embrione nell’utero di una donna che (a pagamento) porta avanti la gravidanza. Il bimbo nasce a gennaio 2012. Al rientro in Italia, però, per i due neo-genitori scatta la segnalazione alla procura di Milano quando richiedono la trascrizione dell’atto di nascita «formato» a Mumbai, perfettamente legale in India e «apostillato» (cioè munito di un’annotazione che ne attesta sul piano internazionale l’autenticità) prima al Consolato generale d’Italia in India poi all’ufficio di Stato civile del Comune di Milano. La trascrizione viene effettuata a febbraio 2012.
Così la coppia finisce davanti a un giudice, con rito abbreviato, per quel figlio concepito all’estero ricorrendo a un utero in affitto e alla donazione di un ovocita. Il sospetto di una donazione, con tutte le trafile burocratiche conseguenti, gravava sui due.Il finale, ieri, è l’assoluzione dall’accusa di «alterazione di stato». Anche se in questo caso c’è la condanna a un anno e 4 mesi (pena sospesa) per le «dichiarazioni mendaci» rilasciate alle autorità italiane. Alle quali la donna avrebbe detto di essere effettivamente la madre del bimbo. Per l’avvocato della coppia, Lamberto Rongo, anche questa condanna appare ingiustificata. Da appello.
Il gup di Milano, Gennaro Mastrangelo, nelle motivazioni della sentenza fa riferimento, tra le altre cose, all’«avanzamento della tecnologia» che rende la «definizione» di «maternità» ormai «controversa». E non è infatti una valutazione etica quella espressa dal magistrato, ma la registrazione di una realtà in continuo mutamento: quella della «contrattualizzazione delle forme di procreazione», della possibilità di procreare data dalla tecnologia a chi la natura non lo concede come malati terminali, cugini primi, anziani e quella dell’impotenza del diritto (rimasto un po’ indietro rispetto ai progressi scientifici) che cerca di farsi rispettare e nel contempo di tutelare il benessere del nascituro definito da Mastrangelo «terzo inconsapevole di un contratto al quale è rimasto estraneo». Il bimbo è ora figlio (riconosciuto) della coppia. Il Tribunale per i minori ha, infatti, «bloccato» la procedura di adottabilità che era stata aperta nel caso in questione.
Mario Pappagallo


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