Così l’Ue boicotta i cit­ta­dini

Così l’Ue boicotta i cit­ta­dini

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Il Par­la­mento euro­peo ha appro­vato una riso­lu­zione sull’Iniziativa dei cit­ta­dini euro­pei (Ice), di cui quella sull’acqua rap­pre­senta l’esempio più signi­fi­ca­tivo. Al cen­tro del dibat­tito è stata la que­stione dell’efficacia o meno dell’Ice in quanto stru­mento di demo­cra­zia diretta a livello euro­peo. In realtà, è andato in scena il distacco tra le discus­sioni in seno alle isti­tu­zioni Ue e la deva­sta­zione sociale e della demo­cra­zia a seguito della demo­li­zione dei beni e ser­vizi comuni pubblici.

L’Ice sull’acqua è stata un suc­cesso, la prima a supe­rare tutti gli osta­coli e a rispet­tare le con­di­zioni. Eppure, la Com­mis­sione euro­pea non ha dato alcun seguito con­creto, come era suo dovere, accon­ten­tan­dosi di affer­mare che essa ha già rea­liz­zato quanto richie­sto in mate­ria di diritto all’acqua e della sua sal­va­guar­dia come bene comune. In un’audizione del Par­la­mento euro­peo nel 2014 e in occa­sione della riso­lu­zione di fine otto­bre, la stra­grande mag­gio­ranza dei respon­sa­bili poli­tici euro­pei ha cer­cato di spie­gare l’impasse attri­buen­dola a ragioni dovute a limiti, imper­fe­zioni e lacune isti­tu­zio­nali, orga­niz­za­tive e finan­zia­rie pro­prie dello stru­mento Ice. Nes­sun dub­bio, esse hanno avuto una certa influenza sulla maniera in cui la Com­mis­sione euro­pea ha uti­liz­zato, poco demo­cra­ti­ca­mente, i risul­tati dell’Ice a suo van­tag­gio poli­tico. Il dato prin­ci­pale, però, è che i poteri tec­no­cra­tici euro­pei accet­tano sem­pre meno l’intervento di mec­ca­ni­smi di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva e diretta nell’esercizio delle loro com­pe­tenze, poli­ti­che e responsabilità.

È pro­prio di que­sti giorni lo scan­da­loso colpo di Stato ope­rato dal pre­si­dente della Repub­blica del Por­to­gallo, sotto pres­sione  della tec­no­cra­zia euro­pea, per affi­dare la com­po­si­zione del nuovo governo alle for­ma­zioni poli­ti­che che hanno perso le ele­zioni e non a quelle di oppo­si­zione alle poli­ti­che di auste­rità, da sini­stra, uscite vit­to­riose e mag­gio­ri­ta­rie. L’argomento usato dal pre­si­dente  dire: «(è mio dovere di) fare di tutto ciò che è pos­si­bile per pre­ve­nire l’invio di falsi segnali alle isti­tu­zioni finan­zia­rie, agli inve­sti­tori e ai mercati».

Altri­menti detto, per l’attuale pre­si­dente del Por­to­gallo, la volontà espressa mag­gio­ri­ta­ria­mente dal popolo non conta nulla. Quel che importa è rispon­dere alle attese delle isti­tu­zioni finan­zia­rie, degli inve­sti­tori e dei mer­cati. La demo­li­zione della demo­cra­zia euro­pea sta in que­ste parole. Esse affer­mano gli stessi prin­cipi alla base del Ttip, secondo il quale gli inve­sti­tori hanno il pri­mato sugli Stati.

L’evoluzione in que­sti ultimi mesi in Ita­lia nel set­tore dell’acqua è, al riguardo, signi­fi­ca­ti­va­mente rap­pre­sen­ta­tiva della situa­zione euro­pea. Mi rife­ri­sco alla con­danna del sin­daco di Bolo­gna da parte della magi­stra­tura per aver ordi­nato di rial­lac­ciare l’erogazione dell’acqua ad alcune fami­glie che ave­vano occu­pato ille­gal­mente degli edi­fici pub­blici abban­do­nati; all’adozione di una nuova legge regio­nale sull’acqua in Sici­lia e sua rapida impu­gna­tiva da parte del governo; alla repri­menda fatta dall’Autorità del gas, dell’elettricità e del sistema idrico nei con­fronti di un sin­daco di un Comune della Sila per­ché applica delle tariffe troppo basse rispetto alla tariffa nor­ma­liz­zata impo­sta dall’Autorità; ai nuovi gravi inqui­na­menti delle acque in tutte le regioni ita­liane a pro­po­sito dei depu­ra­tori e delle disca­ri­che ille­gali (l’Italia ha rice­vuto la terza pro­ce­dura d’infrazione alla diret­tiva euro­pea sulle acque reflue, rela­tiva a 41 agglo­me­rati urbani per un totale di circa 900 comuni sparsi in 12 regioni italiane.

Cosa ci dicono que­sti fatti appa­ren­te­mente aned­do­tici? Con l’impugnazione d’incostituzionalità della nuova legge regio­nale sici­liana nel set­tore dell’acqua, il governo con­ferma la ten­denza forte in seno alle classi diri­genti ita­liane ed euro­pee di oppo­si­zione ad ogni forma di ripub­bli­ciz­za­zione dell’acqua e dei ser­vizi idrici. L’obiettivo  è il con­so­li­da­mento di un sistema eco­no­mico idrico euro­peo basato su un gruppo di imprese oli­go­po­li­sti­che multi-utilities su scala inter­re­gio­nale e inter­na­zio­nale, aperte alla con­cor­renza sui mer­cati euro­pei e mon­diali, di pre­fe­renza quo­tate in borsa e attive in reti di par­te­na­riato pubblico/privato. Que­sta linea mer­can­ti­li­sta e capi­ta­li­stica finan­zia­ria è stata impo­sta nel 1992–93 dalla Banca Mon­diale, secondo la quale la migliore gestione inte­grata delle risorse idri­che passa dalla fis­sa­zione di un prezzo dell’acqua ai costi di mer­cato basato sul recu­pero dei costi totali, com­presa la remu­ne­ra­zione del capi­tale inve­stito (pro­fitto). Ciò spiega la cecità delle classi diri­genti ita­liane, che  hanno deciso di igno­rare com­ple­ta­mente i risul­tati del refe­ren­dum. Fatto scan­da­loso, unico in Europa.

La con­danna del sin­daco di Bolo­gna, così come le cri­ti­che rivolte al sin­daco che fa pagare bol­lette basse pur sal­va­guar­dando l’economicità del ser­vi­zio comu­nale, e i distac­chi sem­pre più fre­quenti dell’acqua ai morosi, mostrano un’altra carat­te­ri­stica saliente della cul­tura poli­tica e delle pra­ti­che sociali attuali in Ita­lia e in Europa in mate­ria d’acqua. I gruppi domi­nanti non accet­tono che l’accesso all’acqua sia un diritto umano esente dall’obbligo di pagare un prezzo abbor­da­bile anche per quanto riguarda il minimo vitale (50 litri al giorno per per­sona). Non accet­tano più che i costi mone­tari del «diritto all’acqua per la vita» siano coperti dalla col­let­ti­vità tra­mite la fisca­lità. Oggi l’orgoglio di cui vanno fieri i governi euro­pei non è quello di fare a gara per ridurre le tasse? Ma allora, con quali risorse finan­zia­rie i governi hanno finan­ziato e finan­zie­ranno le spese pub­bli­che? Ricor­diamo che 11 Stati mem­bri dell’Ue (su 27 nel 2010) hanno votato con­tro la riso­lu­zione dell’Onu del 28 luglio 2010 che ha rico­no­sciuto, per la prima volta nella sto­ria della comu­nità inter­na­zio­nale, che l’accesso all’acqua pota­bile e ai ser­vizi igienico-sanitari è un diritto umano. In tutti gli Stati dell’Ue si è affer­mata, invece, l’idea che, certo, si può accet­tare il prin­ci­pio del diritto all’acqua pota­bile ma che esso è frui­bile a con­di­zione che il cittadino-consumatore paghi le bol­lette dell’acqua. Niente paga­mento, niente diritto.

Anche il Con­si­glio dei diritti umani dell’Onu, con la sua Osser­va­zione gene­rale n°15, del 2002, con­si­de­rata da tutti la base giu­ri­dica prin­ci­pale sulla quale l’Onu ha rico­no­sciuto il diritto umano all’acqua, ha ammesso la con­di­zione del paga­mento di un prezzo abbor­da­bile. E lo stesso hanno fatto i pro­mo­tori dell’Ice/Right2Water: per defi­nire le loro richie­ste sotto l’etichetta diritto umano hanno par­lato di accesso a prezzo abbordabile.

Ecco il muro dell’acqua: si ha il diritto se si paga.



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