Lavoro. La Babele degli 809 contratti nazionali, solo un terzo firmati dai confederali

Lavoro. La Babele degli 809 contratti nazionali, solo un terzo firmati dai confederali

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Il moltiplicarsi dei contratti nazionali — spuntati in questi anni come funghi in una notte d’autunno — è questione molto concreta. I dipendenti si trovano sempre più spesso a lavorare gomito a gomito con colleghi che fanno lo stesso lavoro ma hanno ferie, orari e busta paga diversi. Nello stesso tempo le imprese hanno cominciato a farsi concorrenza anche scegliendo «à la carte» il contratto più conveniente da applicare.

L’ultimo censimento del sopravvissuto Cnel ci dice che i 561 contratti nazionali del 2013 sono diventati 618 nel 2014, 798 nel 2015, 757 nel 2016 e addirittura 809 nel marzo di quest’anno. Più 44,2% in quattro anni. Come si spiega?

La Cisl ha catalogato gli accordi in base a settore, sindacati firmatari, rinnovi. Ne esce che ad avere più contratti in assoluto è il commercio con 192 intese di cui solo 22 firmate da Cgil, Cisl e Uil. Numerosissimi anche i contratti dell’edilizia (63 di cui 17 firmati dai confederali). Poi ci sono i 47 dell’agricoltura, i 61 dei trasporti, i 44 dello spettacolo. Contengono il fenomeno i settori metalmeccanico, tessile e chimico con, rispettivamente, 28, 31 e 34 accordi.

Nell’insieme sono 263 i contratti nazionali firmati da Cgil, Cisl, Uil, pari a circa un terzo (32,5%) del totale. I 546 accordi rimanenti fanno capo ad altre sigle. Per quanto riguarda le scadenze, sono 330 i contratti nazionali che a marzo erano già stati rinnovati (di questi 59 da Cgil, Cisl, Uil), mentre i restanti 479 sono scaduti e non rinnovati.

Rappresentatività

Dietro i contratti nazionali che puntano a quota mille non c’è solo il moltiplicarsi dei sindacati. Gioca la sua parte la gemmazione della rappresentanza delle imprese. Prendiamo il settore metalmeccanico. Qui da una costola della Confapi è nata Confimi che ora ha stipulato un suo contratto nazionale nella meccanica. A volte si creano situazioni paradossali. Piccole imprese che applicano un contratto di Confindustria ed ex piccoli ora grandi che inquadrano i dipendenti in base ad accordi firmati da un’associazione delle piccole imprese, come Confapi e Confimi. Da notare: nell’ultimo rinnovo del modello contrattuale, gli artigiani hanno allargato il numero delle aziende che potenzialmente possono adottare il loro contratto facendo salire fino a 49 il numero massimo dei dipendenti dell’impresa. Si è così inasprita la concorrenza sul fronte della rappresentanza.

La Scala e Santa Cecilia

Aumenta i contratti — anche se in modo meno significativo — il fatto che le realtà con le spalle più larghe si stacchino talvolta dal loro settore per stipulare un’intesa che diventa nazionale e aziendale allo stesso tempo. Il caso Fca non è l’unico. Tra le 14 fondazioni lirico-sinfoniche del nostro Paese ce ne sono due a statuto speciale — Scala di Milano e Santa Cecilia di Roma — che hanno contratti a sé.

Sempre più spesso, per finire, i lavoratori con contratto diverso sono affiancati nelle aziende. È il caso degli addetti alla cura degli anziani nelle ex Ipab. Qui i vecchi dipendenti hanno il contratto della sanità pubblica, i nuovi della sanità privata. Ma il lavoro è esattamente lo stesso.

Rita Querzé

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