Un milione e mezzo di precari

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Due ricerche presentate da NIdil-CGIL

Oltre un milione e mezzo di lavoratori, in Italia, vivono una doppia vita professionale: sono di fatto dipendenti, e si comportano come tali, arrivando a lavorare fino a 45 ore a settimana per un solo committente. Ma restano inquadrati cronicamente con contratti da collaboratori, percependo in media briciole di salario e rischiando di perdere il posto a ogni scadenza. Il fenomeno ha un nome: lavoro parasubordinato, e NIdil Cgil (il sindacato dei nuovi lavori) ne ha divulgato oggi i dati più freschi presentando due ricerche: una quantitativa, curata dalla Facolta’ di Scienze della Comunicazione della Sapienza, e l’altra qualitativa, ossia una rilevazione tramite interviste a cura dell’Ires, l’istituto di ricerca della Cgil.

Dalla prima indagine, curata da Patrizio Di Nicola e Isabella Mingo, emerge che sono ormai 1.475.111 i lavoratori parasubordinati attivi iscritti, nel 2005, all’Inps gestione separata. A questi vanno aggiunti 209.960 lavoratori con partita Iva individuale, sempre iscritti alla gestione separata dell’Inps. Insomma, un esercito di 1.685.071 lavoratori precari. Il 90% di loro ha un unico committente e un reddito annuo non superiore a 10 mila Euro, mentre solo una piccolissima minoranza (il 7%) ha dichiarato compensi superiori a 50.000 euro. Le donne guadagnano circa la metà degli uomini. L’età media è pari a 41,2 anni, ma le donne sono più giovani (37,4 le donne e 44 anni gli uomini). Un altra discriminante per i redditi e’ rappresentata dall’eta’: se tra i 26 e i 30 anni i redditi medi dichiarati ammontano a 7.523 euro i compensi crescono progressivamente fino alla fascia da 61 a 65 anni (23.854 euro medi). Difficile e’ la situazione anche delle fasce tra i 31 e i 35 anni (11.067 euro medi) e tra i 36 e i 40 (14.934 euro in media i compensi). Oltre il 22% dei parasubordinati lavora nell’industria e in edilizia mentre il 14,65% e’ occupato nel commercio e il 13,21 nei servizi alle imprese. Alto il ricorso ai parasubordinati nell’istruzione (il 7,56% del totale ma su oltre 111.000 persone ci sono oltre 34.000 tra borsisti e dottorandi) e nei trasporti (il 3,86% pari a 56.947 persone). Iparasubordinati si concentrano in Lombardia (il 24,89%) e nel Lazio (il 15,34%).

L’indagine realizzata dall’Ires, invece, attraverso 560 interviste – e coordinata da Giovanna Altieri e realizzata da Eliana Como – racconta di un mondo dove la caratteristica dominante (nell’80% dei casi) è la dipendenza economica dall’unico committente e in cui ci si ‘sente’ (85%) lavoratore dipendente. Un mondo fatto di lavoratori privi di diritti elementari; un mondo che perde, con il passare del tempo, la fiducia in sé e nella possibilità di migliorare: forse anche per questo un mondo senza figli (82%).

La maggior parte degli intervistati lavora all’interno dell’impresa, per lo piu’ con una presenza quotidiana, con un orario di lavoro fisso e con margini di autonomia decisionale scarsi (solo il 26,3% del campione dichiara di averne mentre il 40,3% ha margini di scelta solo operativi, il 18,4% lavora in completa autonomia e il 15,1% dichiara di non avere nessuna autonomia). Il 50% del campione lavora piu’ di 38 ore a settimana. Il 31% del totale prende meno di 800 euro al mese e se si aggiungono a questi il 26% che guadagna tra 800 e 1.000 euro si vede che oltre la meta’ dei collaboratori sta stabilmente sotto i 1.000 euro al mese. Tra i lavoratori part time, spiega la ricerca, spesso ci sono i lavoratori come quelli delle pulizie, del commercio e dei call center dove l’orario ridotto piu’ che scelto e’ imposto dal mercato.

L’indagine dell’Ires sottolinea come i collaboratori intervistati siano soprattutto trentenni che svolgono da tempo la loro professione. Solo il 34,6% del campione lavora nella stessa azienda da meno di un anno mentre il 65,4% lavora nello stesso posto da piu’ di due anni (il 31,9% da piu’ di quattro). Spesso questi lavoratori hanno a che fare con piu’ rinnovi contrattuali e circa la meta’ degli intervistati ha dichiarato di essere alla ricerca di un nuovo lavoro mentre solo una piccola parte e’ convinta di avere prospettive di carriera nell’azienda attuale. Solo il 15% del campione si considera un libero professionista vero e proprio, mentre il resto degli intervistati pensa che il proprio lavoro sia da considerare a tutti gli effetti lavoro dipendente. La maggioranza dei collaboratori non scambierebbe la precarietà del rapporto di lavoro con salari piu’ alti: il 66% dichiara di aspirare prima di tutto a una maggiore sicurezza per il futuro.

‘Finalmente – sottolinea Filomena Trizio, segretaria nazionale NidiL-Cgil- abbiamo a disposizione dati non approssimativi ed elaborati con la massima trasparenza grazie all’Osservatorio permanente sul lavoro Atipico in Italia, nato dalla collaborazione di NidiL, IRES e Università La Sapienza’. ‘Attraverso le indagini commissionate da NIdiL – continua- è possibile ‘leggere’ dall’interno questo mondo vario e, spesso, nell’ombra dell’atipico. “Il superamento del dumping con il lavoro dipendente e la richiesta di stabilizzazione (insieme il 60%) – conclude Filonema Trizio- pongono, entrambe, il problema di superare l'”abuso” nel ricorso a queste forme di lavoro: per il futuro, eliminando l’attuale forte convenienza economica per i datori; per il presente riportando a lavoro dipendente ciò che autonomo non è (vedi per tutti i call center). Nel contempo la richiesta di maggiori tutele (30%) pone la necessità di rendere dignitosa e vivibile la parasubordinazione nella sua dimensione vera. La piena coincidenza di tali richieste con le priorità individuate e praticate da NIdiL e dalla Cgil nel suo insieme è ovviamente per noi ulteriore spinta a procedere nel percorso faticosamente avviato”.


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