Boffo, Eluana e Mesiano quando violare la privacy a Berlusconi conveniva

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Nella primavera del 2001, in campagna elettorale, un’inchiesta del quotidiano spagnolo El Mundo diede conto e procurò parecchi problemi, pure di natura giudiziaria oltre che politica ed affaristica, a Telecinco, la tv che Mediaset aveva impiantato a Madrid. Si trattava dunque di reagire: ma come?
Il Cavaliere scelse allora la platea più selezionata possibile, quella dei nobili romani che l’avevano invitato a Palazzo Pallavicini, di fronte al Quirinale. I giornalisti fuori della porta, in sala anche Fini, Casini, Martino, Fisichella, Storace, Tajani, l’ambasciatore Vattani e Bruno Vespa. Non appena si accennò a quell’inchiesta, Berlusconi cacciò finalmente il rospo che si era tenuto in gola da 24 ore: «Dovete sapere che El Mundo, che l’ha pubblicata, è un giornalaccio il cui direttore – e qui disse il nome e cognome – è stato ripreso insieme a una donna a pagamento mentre si faceva frustare».
Ora, a parte la singolare evocazione di donne a pagamento e di nastri video o audio che fossero, quello schizzetto di veleno già  sarebbe bastato. Ma l’imminente presidente del Consiglio volle aggiungere: «Speriamo che Striscia la notizia possa avere quel filmato e trasmetterlo». L’indomani, per la verità , Antonio Ricci fece sapere che lui mai e poi mai avrebbe diffuso quell’ipotetica cassetta. Ma quel piccolo saggio di ritorsione mediatica senz’altro getta luce sugli orizzonti di coerenza morale dell’odierno arcangelo della privacy.
Diversi anni dopo, del resto, quando uscì il primo ciclo di intercettazioni Rai sulle attrici da raccomandare, il Cavaliere confermò questa sua vocazione alla rappresaglia sull’altrui vita privata, oggi divenuta supremo bene da tutelare. Disse quindi: «Se proprio vogliamo parlare di raccomandazioni, in Rai si lavora solo se ci si prostituisce o sei di sinistra». Su questa seconda condizione restò nel vago, ma riguardo alla prima c’è chi lo vide sventolare un elenco di “amanti Rai”, ogni nominativo di signora su una colonna e in quella a fianco il titolo del programma e nella terza il referente, per così dire. Si arrivava ai 50 nomi. Qualche campione della Santa Riservatezza aveva steso il minatorio elenco.
Quando l’ipocrisia litiga con la verità  non è detto che abbia sempre la meglio. O almeno, così si spera. Perché nella stagione post-ideologica la lotta politica è per sua natura brutta, sporca e cattiva. Ma un po’ viene anche da chiedersi come gli storici del futuro valuteranno la singolare circostanza di un unico soggetto, Berlusconi, che fino alla censura si erge a propugnatore della privacy e sulle sue reti fa i soldi con il Grande Fratello.
Non solo, ma nella routine del potere, nei suoi inconfessabili dispositivi offensivi, la contraddizione appare ancora più spudorata. S’è detto delle video-frustate e dell’inventario delle amanti. Ma basta un minimo di memoria per mettere ancora più a nudo la strumentalità  di questa crociata. La privacy dei nemici semplicemente non esiste.
Se ne può chiedere doloroso riscontro alla vittime. Persone debitamente travolte dai giornali di Berlusconi, dalle sue televisioni, dalle veline. Si può chiedere al direttore di Avvenire Dino Boffo, trafitto da un’anonima noticina; o al giudice Mesiano, che ha avuto il torto di stendere una sentenza poco favorevole a Sua Maestà  per ritrovarsi segnalato come un tipo bizzarro per via dei pedalini celesti. E ancora si può sentire cosa pensano il portavoce di Prodi, Sircana, inseguito da una foto, non da reati e comunque finito all’ospedale; o alla Mussolini, che per sfogare l’animosità  accumulata ha ritenuto di dover strappare una copia del Giornale in diretta tv.
Non che dall’altra parte rifulga il buon esempio in materia di attacchi mirati, di campagne a uomo, o a donna, ma fa impressione l’imperturbabilità  con cui da parte del centrodestra si coltiva oggi la più tonante retorica della privacy, si leva la più temeraria condanna delle intercettazioni quando è chiarissimo che per suoi giri Berlusconi si sciroppava a domicilio le telefonate di Fassino o lasciava che gli strateghi rosa della Mondadori inzuppassero il biscottino nelle vicissitudini coniugali di Fini o giocassero a rimbalzello con il video di Marrazzo.
E dire che dai giornali della casa presidenziale ci sono state campagne perfino rimarchevoli: su Affittopoli, ad esempio, o sulle squillo del centrosinistra in Puglia. Campagne in cui per forza di cose il privato finisce per contare meno del pubblico – ammesso e non concesso che la distinzione sia ancora valida. Ma certo è una pretesa ai limiti della schizofrenia pensare che si sia dimenticata l’impietosa pubblicazione delle telefonate di Carlo Giuliani, di antiche foto di scena di Veronica, “velina ingrata”, con le tette di fuori.
Vero è che ai suoi fini il Cavaliere spesso e volentieri ha pure forzato la sua, di privacy (concepimento, malattie, desideri); e una volta è arrivato a violare anche quella sacramentale, se così si può dire, del suo confessore di manica larga, allontanato da Arcore. Ma poi, per esserne divenuto il più strenuo difensore, era meglio se sulla coscienza non gli pesava la più infelice, o forse la più torva di quelle che con qualche pigrizia la vulgata giornalistica definisce le “gaffe” di Berlusconi. Su Eluana Englaro: «In condizione – garantiva lui – di generare un figlio». E qui, pur con tutto il disincanto, si spegne il sorriso, e si torna a pensare con preoccupazione a domani.


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