Dall’energia sicura all’acqua il ritorno degli ambientalisti

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E qui la frizione con il mercato non fa che aumentare. La vittoria elettorale dei Grà¼nen in Germania e la mobilitazione per i referendum segnalano una ripresa della sensibilità  per i temi verdi Le coincidenze non sono mai figlie del caso. Soprattutto in politica. Di questo bisogna tener conto nel valutare avvenimenti come il successo elettorale dei Verdi tedeschi nel Baden-Wuerttemberg e nella Renania-Palatinato, il raddoppio dei voti dei Verdi francesi nel primo turno delle elezioni cantonali, la manifestazione italiana di sabato contro la privatizzazione dell’acqua, che ha confermato un grande sostegno popolare già  reso visibile dal milione e mezzo di firme raccolte per promuovere il referendum. Commentando il risultato di domenica, si è detto che uno tsunami si è abbattuto sul sistema politico tedesco: un uso malizioso della parola, con la quale si è voluto alludere sia ad una impetuosa crescita di consensi che per la prima volta porterà  un esponente dei Verdi a presiedere una delle più importanti regioni della Germania; sia al molto più drammatico tsunami giapponese, dando così al voto il significato di un referendum pro o contro il nucleare, in qualche modo ridimensionando la portata politica del successo verde. Se è giusto non trarre frettolose e entusiastiche valutazioni dal voto tedesco, è altrettanto vero che sarebbe sbagliato sottovalutare le ragioni che indirizzano le attenzioni dei cittadini verso il movimento verde, quasi che si trattasse di un riflesso emotivo destinato, prima o poi, ad essere complessivamente riassorbito. L’ambientalismo delle origini si è affrancato da molti schematismi, ha maturato analisi accorte delle dinamiche economiche e sociali, ha contagiato settori diversi da quelli direttamente legati alla tutela dell’ambiente naturale. È stata così messa a punto una agenda politica rinnovata, sempre meno ideologica, anche se fondata su una sottolineatura forte della necessità  di una radicale messa in discussione di alcuni criteri che continuano ad ispirare molte scelte economiche e politiche, in primo luogo quelle volte ad una sorte di modernizzazione forzata non accompagnata da una valutazione adeguata di tutte le sue possibili conseguenze. Due parole d’ordine degli ambientalisti – “disinquinare”, valutare l'”impatto” di decisioni pubbliche e private – sono divenute d’uso corrente nel più generale lessico politico. E l’operazione di disinquinamento viene riferita anche allo stesso ambiente politico, tanto che alcuni commentatori hanno colto nel voto tedesco una forte richiesta di etica pubblica. Non è un caso che quel voto abbia fortemente penalizzato i liberali, la cui immagine era stata appunto inquinata dalla scoperta di un loro ministro in flagrante peccato di plagio per la sua tesi di dottorato, e le cui immediate dimissioni non sono riuscite ad arginare il discredito per il suo partito. Vero è che l’Italia del centocinquantenario sembra ormai mitridatizzata verso qualsiasi immoralità  pubblica: ma forse il caso tedesco può dirci qualcosa sulla convenienza politica di non fare sconti in tema di etica civile. Nell’agenda dei Verdi compare il reddito minimo garantito, al quale si guarda come ad uno strumento che può eliminare molti inquinamenti dell’ambiente sociale. Qui si coglie una significativa sintonia con una sentenza della Corte costituzionale tedesca che, nel febbraio dell’anno scorso, ha dichiarato illegittime alcune norme che contrastavano con il “diritto fondamentale alla garanzia di un minimo vitale dignitoso”. Ma i Verdi seguono pure una indicazione che si trova nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che in Italia ispira l’azione del neonato Basic Income Network e che gli ambientalisti nostrani dovrebbero seriamente prendere in considerazione se davvero vogliono intraprendere un non retorico cammino costituente. Vi è poi il tema del disinquinamento dell’ambiente informatico, che esige continue valutazioni d’impatto delle innovazioni, come ci ricorda l’ultimo numero della rivista “Terminal”, appena uscito in Francia. Ma l’ambientalismo ha trovato uno dei suoi più forti caratteri distintivi nella centralità  attribuita ai beni comuni – aria, acqua, salute, cibo, conoscenza. Qui la frizione con la pura logica di mercato si fa più marcata e i beni comuni si presentano come la proiezione nel mondo dei diritti fondamentali che devono accompagnare ogni persona quale che sia il luogo in cui si trova, quale che sia la sua condizione. Beni comuni e diritti di cittadinanza si congiungono, dando all’azione politica anche una forte portata simbolica, individuando le stesse precondizioni della convivenza democratica. È bene non dimenticare, per evitare letture troppo appiattite sulla sola vicenda nucleare, che poche settimane fa i cittadini di Berlino avevano votato proprio contro la privatizzazione della gestione dell’acqua. E si può aggiungere che in un’altra grande capitale, Parigi, il ritorno della gestione dell’acqua in mano pubblica è stato voluto dal sindaco socialista, Bertrand Delanoe, la cui elezione era stata resa possibile dall’alleanza con i Verdi. Se, dunque, si vuole seriamente guardare al modo in cui si costruisce oggi una agenda politica, il tema dei beni comuni è destinato a rappresentare un riferimento ineludibile (che malinconia vedere che il Pd si divide proprio sul referendum sull’acqua). Solo così, peraltro, è possibile congiungersi con una Europa dove è necessaria un’azione convinta per sfruttare tutte le opportunità  offerte dalla Carta dei diritti con i suoi riferimenti alle generazioni future, alla tutela dell’ambiente, allo sviluppo sostenibile.


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