La guerra costituente

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Chissà  se Fassino e D’Alema hanno mai incontrato le famiglie delle 3.500 vittime civili dei bombardamenti umanitari dell’Alleanza atlantica del 1999. Quei bombardamenti che per 78 giorni permisero a Milosevic di apparire popolare ed eroico, e seminarono quelle terre di «effetti collaterali», cioè morti, distruzioni e contaminazioni da uranio impoverito. O se hanno mai avuto davanti agli occhi il risultato della missione militare in Somalia nel 1993, o le attuali stragi di civili in corso in Afghanistan, l’altro fronte bipartisan del quale si tace. L’interventismo ammantato di «protezione dei civili» venne assunto dalla sinistra perché bisognava dar prova di capacità  di governo, anche con la perdita di sovranità  necessaria all’insediamento del nuovo ordine mondiale dopo la fine della Guerra fredda e le svolte dell’89. Così la guerra è diventata uno status, una condizione costituente per la possibilità  di una alternativa democratica. Come è evidente dalle parole del presidente della Repubblica Napolitano: «Non siamo in guerra, rispettata la Carta dell’Onu». Eppure c’è l’articolo 11 della nostra Costituzione che dovrebbe essergli cara, invece recita «l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Certo, nel capitolo seguente mette a disposizione le proprie strutture per operazioni degli organismi internazionali. Ma non per nuove guerre. Che Costituzione sarebbe la Carta di un paese che predisponesse il contrario esatto di quello che afferma nel dettato principale? Ma è la guerra che per la crisi in Libia è stata scelta subito dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. E subito l’Italia di governo e d’opposizione ha aderito, nonostante Gheddafi sia stato, fino a poche settimane fa, l’alleato di ferro per fermare «l’invasione» dei migranti – il Trattato con Tripoli è stato votato anche dal Pd. Partono dai nostri aeroporti i cacciabombardieri britannici e americani e si sono già  attivate le tecnologie di puntamento. Partecipiamo ai raid e cominciamo a sparare bombe e missili anche noi. Sul campo cominciano ad esserci ormai troppi morti civili, quelli di Misurata uccisi dalle truppe di Gheddafi e quelli del quartiere Tajoura di Tripoli assassinati dai jet occidentali. Anche queste vittime civili erano assenti dal dibattito del parlamento. Eppure il disastro della coalizione dei neo-volenterosi e della presunzione di Sarkozy della guerra a tutti i costi è sotto i nostri occhi. C’è scontro sul comando perché non c’è accordo sulle finalità , sugli obiettivi, sui mezzi, sui termini e sui tempi. Una débacle. Che non ferma la tenuta militare di Gheddafi. Tanto che il premier francese, Alain Juppé, già  insiste per un’interpretazione «estensiva» del dispositivo Onu e già  si parla dell’intervento di terra che fino a pochi giorni fa si giurava di escludere. Proprio mentre la Germania insiste a dire no alla guerra e i cinque paesi del Consiglio Onu (tra cui Russia e Cina) astenuti chiedono un cessate il fuoco verificabile sul terreno, con una missione di osservatori internazionali. Era questa la strada maestra fin da subito. Ma l’Italia dà  le basi, pensa ai raid ed è assente anche su questa iniziativa. Basterà  che domani la pace torni in piazza?


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