“Questi Paesi vogliono cambiamento l’Occidente deve spingere per il dialogo”

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«Mi creda – dice al telefono – non sono ossessionato: solo che quello che è accaduto in Tunisia ed Egitto e ora, in modo diverso, in Yemen, Siria e Libia ha dimostrato alla gente che se davvero vuole andare nelle strade a chiedere cambiamento ed è pronta ai necessari sacrifici può ottenere quello che vuole. E allora perché non in Kuwait dove il primo ministro è al suo posto da 30 anni?». Quindi dobbiamo aspettarci ancora rivolte… «Sì, ma la cosa interessante è che ogni rivolta ha la sua anima: ci sono Paesi dove la gente vuole buttare giù un governo corrotto, come lo Yemen. Ce ne sono altri dove si chiedono riforme, ma non cambiamenti radicali: ad esempio il Marocco. Qui il re sembra pronto a concessioni e questo rafforza i giordani, che portano avanti richieste simili. Ma ci sono anche casi come quello dell’Arabia Saudita, dove gli sciiti vogliono la fine delle discriminazioni contro di loro». Le risposte nelle ultime settimane sono state violente: perché? «È l’effetto di quello che è accaduto in Bahrein: lì si è usata la violenza, e questo ha permesso ai sauditi di minacciare di fare la stessa cosa. Ma quello che voglio sottolineare per l’Arabia Saudita sono le posizioni di membri della famiglia reale che hanno invitato al dialogo: dimostra che nessun Paese è immune a questo vento di cambiamento». E la risposta occidentale? «Ambigua. Gli americani hanno aspettato troppo a lungo prima di intervenire in Libia e ora si trovano di fronte a una situazione più complessa di un mese fa. E a interrogativi difficili: come si fa a convincere Bahrein e Yemen a dialogare? È una sfida che l’Occidente farà  meglio ad affrontare, se non vuole trovarsi di fronte a nuova violenza».


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