Viaggio tra le vittime dell’amianto, perché il lavoro non uccida più

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Chi vuole capire cosa stia succedendo a Torino dall’apertura del processo Eternit – due anni fa e tuttora in corso – deve leggere il bel libro di Giampiero Rossi, giornalista di A e per anni all’Unità , La lana della salamandra, «la vera storia della strage dell’amianto a Casale Monferrato» (Ediesse, 2010). L’amianto, il killer silenzioso che per anni ha lavorato a uccidere diverse centinaia di operai casalesi, e anche tanti abitanti della cittadina piemontese, veniva ritenuto magico nell’antichità , elemento miracoloso che permetteva alle salamandre di resistere al fuoco.
L’amianto è stato la fortuna della multinazionale svizzera Eternit, che proprio a Casale – terra di vigneti e tartufi – impianta nel 1906 un grosso stabilimento, sconvolgendo per sempre il territorio e le vite dei suoi abitanti. L’eternit è un impasto di acqua, cemento e amianto che dall’iniziale brevetto svizzero si diffonde in tutto il mondo, un materiale quasi indistruttibile, flessibile e resistente alle alte temperature. Basti pensare ai famosi tetti ondulati ancor oggi diffusi nelle baraccopoli.
Quella fabbrica, accolta ovviamente come una promessa di benessere in una terra di contadini, rivelerà  negli anni la sua vera natura: dispensa un veleno micidiale, le polvere di amianto appunto, che va in sospensione durante le lavorazioni, la manutenzione, la pulizia, ed entra direttamente nei polmoni di chi la inala. Polvere bianca che si diffonde, come una nuvola, non solo nello stabilimento, ma anche nel paese, causando la morte di tantissime persone che non hanno mai messo piede nello stabilimento. Gli incartamenti raccolti dal pm Raffaele Guariniello, motore del processo, sono pari a ben 220 mila pagine, raccolte in 150 faldoni che occupano da soli due stanze della procura. Dietro quelle pagine e quei numeri, ci sono 2.969 morti per amianto – o meglio, per il mesotelioma pleurico, il tumore ai polmoni indotto dalle polveri: soprattutto cittadini di Casale (ben 2.272, di cui 482 mai addetti a quelle lavorazioni, colpiti perché semplicemente abitanti del paese).
La bellezza del libro di Rossi, sta nel seguire negli anni le vicende dei protagonisti della battaglia contro l’amianto. Il primo capitolo potrebbe rappresentare un romanzo a sè, purtroppo con una storia tutta vera: sono le vicende della famiglia di Romana Blasotti, una cittadina di Casale che si è vista strappare dal mesotelioma prima il marito operaio, poi la sorella, un nipote e infine la figlia. Un calvario inimmaginabile, raccontato con partecipazione dall’autore, che è diventato anche amico di Romana e di tutte le persone che hanno animato la lotta per arrivare al processo di oggi.
In particolare, due sindacalisti della Cgil, Nicola Pondrano e Bruno Pesce, il primo ex operaio della Eternit, che da fine anni Settanta hanno fatto di tutto per convincere gli altri lavoratori che l’amianto uccide: e se all’inizio venivano avversati, perché tutti pensavano ovviamente a conservare il proprio posto, alla fine riescono a portare alla sbarra addirittura i vertici della multinazionale, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne. Tra l’altro, sarà  proprio la lotta di Casale a far varare nel 1992 la totale messa al bando dell’amianto in Italia.


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