Corano bruciato, ancora morti a Kandahar

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Migliaia di afgani hanno marciato sin dal mattino in diversi quartieri della città  roccaforte dei Taliban brandendo bastoni e copie del Corano. Alcuni scandivano slogan come “Morte all’America” e “Morte a Karzai”, altri gridavano “Lunga vita ai Taliban” impugnando le bandiere bianche dei ribelli. Il corteo si è quasi subito trasformato in guerriglia: vetrine di negozi frantumate, pneumatici e auto date alle fiamme e infine la scuola superiore femminile Zarghona Ana sponsorizzata dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo vandalizzata. Tra le vittime, tutte colpite da spari o lanci di pietre, almeno due poliziotti afgani. Altre proteste a Kabul, nella città  occidentale Herat e nella provincia settentrionale Tahar si concludevano senza violenze. A sabotare la protesta a Kandahar secondo i funzionari locali sarebbe stato un gruppo di Taliban infiltratisi tra la folla com’era successo venerdì a Mazar-i-Sharif prima che cinque afgani, quattro nepalesi e tre europei dipendenti dell’Onu venissero uccisi nell’assalto alla sede della Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan. Numerosi analisti avevano però invitato a non sottovalutare il diffuso risentimento nei confronti degli occidentali ancor prima che il portavoce dei Taliban Zabihullah Mujahid negasse ogni coinvolgimento nei due episodi definendoli «un mero atto di protesta di musulmani responsabili». «Gli afgani sono un popolo religioso conservatore perciò i motivi religiosi smuovono sempre le cose», ha commentato Baryalai Hakimi, capo del dipartimento di Scienze politiche presso il Centro nazionale per le ricerche politiche di Kabul, osservando come le immagini di fotografie di soldati statunitensi in posa con civili afgani uccisi per sport pubblicate dal Der Spiegel non abbiano invece provocato alcuna reazione popolare. A dimostrare l’instabilità  del Paese alla vigilia del processo di transizione dei poteri, anche la strage sventata alla base Nato di Camp Phoenix a Kabul dove in mattinata tre kamikaze in burqa avevano cercato di farsi saltare in aria tra le forze di sicurezza. C’è poi chi, come Qayum Baabak, analista politico afgano, ha accusato lo stesso Hamid Karzai di aver infiammato le tensioni. Il pastore Wayne Sapp aveva dato fuoco a una copia del Corano in Florida il 20 marzo dopo aver messo in scena un processo al libro sacro con l’aiuto di Terry Jones, il reverendo che aveva minacciato un rogo del testo già  l’11 settembre. L’episodio era stato ignorato in Afghanistan sino alla condanna di giovedì del presidente afgano. «Karzai – ha detto Baabak – avrebbe dovuto invitare la gente alla pazienza invece di renderla più furiosa». Jones dal canto suo non solo non si sente affatto responsabile della nuova ondata di violenze, ma ha anzi rincarato la dose. «L’Islam non è una religione pacifica», ha detto chiedendo «un’azione immediata» di Usa e Onu nei «Paesi dominati dai musulmani».


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