D’assalto e d’assenze L’ultima tendenza Pd

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E così far esplodere i nervi al ministro Ignazio La Russa, e i conflitti nella maggioranza. Anziché fare «l’Aventino», come aveva proposto Rosy Bindi mercoledì, alla prima sconfitta in aula sul processo breve, quando la maggioranza aveva impresso un’accelerazione sull’iter che sembrava imb. O addirittura «rassegnare in massa le dimissioni», come aveva fantasticato Ignazio Marino. Proposte dal sapore antipolitico, per il palato dalemiano. «Sconcertanti», secondo il composto senatore Vannino Chiti. Senz’altro sintomo di un Pd in cui oltre alla linea politica (con la Lega sul federalismo come dice Enrico Letta, o contro come dice oggi la stessa Bindi?), neanche la tattica parlamentare è chiarissima. Nemmeno nel gruppo dirigente. Ieri Bindi ha riaggiustato il tiro dicendo che il senso della sua proposta era sollecitare «un’opposizione senza tregua». Che poi c’è stata «in combinazione con la piazza». Quindi aveva ragione anche lei. Bersani mercoledì pomeriggio è uscito di corsa dal Palazzo, ha arringato i manifestanti, facendosi rimediare al volo una scaletta e un megafono, e creando il panico al Pd pocoi abituato a queste emergenze. Poi ieri ha chiuso la polemica ecumenicamente, annunciando che «il partito dovrà  stare in tutte le posizioni. Non andiamo via né dal parlamento né dal paese. Non dobbiamo mollare niente». Quindi, nuova convocazione in piazza: martedì, alla ripresa dei lavori sul processo breve, nuovo presidio di Pd, Idv e popolo viola fuori da Montecitorio, si uniranno anche i finiani. E per l’8 aprile, dopo le papere della raccolta firme per cacciare Berlusconi (i famosi dieci milioni, mai arrivati e già  seppelliti in un tombale dimenticatoio), stavolta c’è un’idea più misurata, e per questo più a portata di mano: le notti bianche per la scuola e la democrazia in alcune grandi città  italiane. Quanto al Palazzo, ieri alla Camera un Pd combattivo come mai ha portato a casa qualche risultato. All’apertura Roberto Giachetti, insieme ai suoi colleghi Evangelisti (Idv) e Galletti (Udc) hanno armato un pandemonio sul resoconto, costringendo Fini a metterlo ai voti: finisce pari, bagarre di Pdle e Lega. Si tratta del riassunto della giornata precedente, atto formale che apre ogni seduta, che i gruppi debbono condividere e approvare. In quello di ieri, gli insulti che il ministro La Russa aveva lanciato verso Fini mercoledì pomeriggio non erano neanche citati. Poi è la volta della discussione generale sul processo breve. I deputati dell’opposizione tengono testa, la maggioranza si sfilaccia, capisce di non reggere e chiede il rinvio a martedì. L’opposizione accetta. Ma Dario Franceschini incassa quella che ritiene una vittoria: «In questi due giorni abbiamo assistito a uno spettacolo indecoroso», dice in aula, «con un atto di arroganza parlamentare avete fatto la richiesta di inversione dell’ordine del giorno sul processo breve. E dopo 24 ore c’è una resa incondizionata. Sete riusciti solo a scatenare risse». L’implacabile Giachetti riesce anche a massimizzare un errore formale del Pdl, e a portare a casa che martedì prossimo il processo breve non sarà  neanche il primo punto all’esame. Peccato che un minuto prima, la richiesta del Pd di rimandare il provvedimento in commissione non passa per due. La votazione è senza registrazione, difficile stavolta ricostruire le assenze – le altre volte questo giornale l’ha fatto – ma con uno sforzino in più da parte democratica sarebbe passata. E nella cronaca degli ultimi voti alla Camera, con la maggioranza spappolata e i ministri costretti a correre in aula, ci sono non poche defaillance delle opposizioni, per assenza di deputati.


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