Ma la Lega avverte il Cavaliere “Se si perde a Milano, salta tutto”

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ROMA – «Speriamo di perdere Milano». La battuta circolava la scorsa settimana tra i deputati leghisti. Erano i giorni in cui la Camera era bloccata per votare la prescrizione breve a beneficio di Silvio Berlusconi e la frustrazione delle camicie verdi saliva oltre il livello di guardia. Non che la Lega non ce la metterà  tutta per fare il pieno di voti all’ombra della Madonnina, ma la battuta nasconde una verità  che il Cavaliere ieri ha in parte svelato. Anche per il Carroccio il voto di maggio è qualcosa di più di una tornata amministrativa: una sconfitta nel capoluogo lombardo potrebbe spingere i lumbard ad accorciare la vita al governo. Il messaggio è stato recapitato al premier. I leghisti hanno mal digerito la conferma di Letizia Moratti. L’hanno vissuta come un «colpo di mano» del premier quando le trattative con Bossi su chi candidare erano ancora aperte. E Berlusconi dopo l’ultimatum dei colonnelli leghisti – «o si vince o salta tutto» – è corso ai ripari, iscrivendo il suo nome in cima alla lista milanese al posto di Mariastella Gelmini. Se la vittoria al primo turno è vista come un miraggio, una sconfitta al ballottaggio contro il candidato del Pd Giuliano Pisapia sarebbe la Waterloo del premier. Potrebbe costargli Palazzo Chigi. A Via Bellerio spiegano che perdere a Milano «farebbe riflettere tutti su quelle alternative che oggi in molti fingono di non vedere. Farebbe capire che Berlusconi non è imbattibile e accelererebbe un processo già  in corso». Quello dello sganciamento dal governo o, quanto meno, di una richiesta che potrebbe diventare un ultimatum: il prossimo candidato del centrodestra alla guida del governo dovrà  essere Bobo Maroni. Nel 2013, se non prima. I segnali della strategia leghista stanno ormai emergendo. Da un lato la politica della «differenziazione» dal premier e dal Pdl. Basti pensare che il giorno dell’approvazione del processo breve La Padania non ha nemmeno riportato la notizia in prima pagina. Poi il nome di Maroni come prossimo presidente del Consiglio che torna sulla bocca di molti padani, come il sindaco di Verona Flavio Tosi o dell’europarlamentare Francesco Speroni. Non che Angelino Alfano (innalzato a delfino da Berlusconi con successiva smentita) non piaccia allo stato maggiore leghista (anzi, piace eccome), ma Bossi si sente pronto a prendere in mano il governo con Maroni. Nel 2013 – spiegano i suoi più stretti collaboratori – o anche prima se Napolitano dovesse bocciare la prescrizione breve e lo scontro istituzionale con la pretesa del Pdl di riapprovarlo subito arrivasse ad intensità  mai viste prima. In questo senso sarà  decisiva Milano. In una mano Bossi avrà  il «termometro» delle decine di comuni dove la Lega corre da sola: serviranno a capire quanto il movimento tenga nonostante le difficoltà  del governo (tutte imputate al Cavaliere e alle sue leggi ad personam). Se dovesse fare il pieno dove corre da solo e perdere a Milano nonostante un eventuale impennata dei voti leghisti («dal 4% puntiamo a salire a percentuali lombarde», dice Matteo Salvini), allora anche la fetta del partito più legata a Berlusconi potrebbe decidersi al grande passo. A maggior ragione nel momento in cui il premier parla di una sua successione. Se in via Bellerio tutti credono che sia solo tattica («per Berlusconi il prossimo candidato sarà  Berlusconi, al massimo Berlusconi junior, ovvero Silvio dopo un bel lifting», scherza Calderoli), in caso il premier dovesse lasciare sul serio tutto si riaprirebbe. «Il patto è con Berlusconi, non con il Pdl – va ripetendo il Senatùr – quindi andrebbe ridiscusso a 360 gradi, anche sulla premiership». Insomma, da Milano si potrebbero aprire nuovi scenari con un tempo di «incubazione» che molti leghisti indicano al massimo in 10-12 mesi.


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