Un nuovo welfare

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Inoltre il loro argomentare trasuda paternalismo, irenico patto dei produttori e intergenerazionale, quindi, soprattutto, sembra fermo ad anni fa, quando il Pd poteva ancora governare e la crisi economico-finanziaria era solo agli albori. Fingono di prendere la parola come interlocutori delle piazze di ieri, con migliaia di precari-e, intermittenti e lavoratori indipendenti a rivendicare «il nostro tempo è adesso». Si propongono come riformisti, mentre appaiono stanchi ripetitori di ricette che questo Paese avrebbe dovuto sperimentare negli anni ’90, quando invece si preferì “riformare” il mercato del lavoro, senza garanzie e tutele, quindi svendere i servizi pubblici della Repubblica ai soliti noti della finanza e del nostro capitalismo straccione, fondato sui contributi statali, il silenzio sindacale e le rendite private. Pensano che questa mobilitazione dei precari sia la prima e «convocata via Internet»: poveri, inconsapevoli, sordi interpreti di questi strani tempi ipermoderni! Eppure, da uomini di mondo quali sono, dovrebbero sapere che fuori, nella società  civile, di cui molto blaterano sembra senza frequentarla (se non forse quella troppo “alta”) ci sono milioni di singoli individui, persi nella nuova grande trasformazione delle forme del lavoro. Milioni di individui che le rappresentanze sindacali del movimento operaio e la tradizionale sinistra politica hanno ignorato e le forze industriali hanno spremuto fino alle midolla; mentre l’esaltato berlusconismo inventava quell’immenso centro spettacolare per l’impiego, prevalentemente femminile, che dal Grande Fratello porta dritto ad Arcore.
Questi milioni di nuovi lavoratori senza diritti, lasciati soli da tutti e capaci di inventarsi un San Precario cui votarsi, sono precari-e di tutte le risme. Nuove e vecchie partite iva, freelancers, autonomi, indipendenti: intermittenti della retribuzione e delle commesse, versano i contributi puntualmente in gestione separata, non hanno garanzie e non avranno la pensione, ma meglio non farlo sapere, altrimenti si rischia un «sommovimento sociale» (così Mastrapasqua, presidente Inps, ricordato proprio nell’azione alla sede Inps di Roma: altro che via Internet!). Non hanno quasi mai conosciuto un contratto decente; raramente un reddito minimamente dignitoso; non sanno cosa voglia dire assegni familiari, tutele sociali, malattia, maternità  e ferie pagate; non sono neanche consapevoli di avere dei diritti. Sono giovanissimi, ma anche molti over-40, che incontrano la solitudine dei più anziani,  espulsi dal mercato del lavoro con l’avvio della crisi globale e ora non più reintegrabili. Per questostona del tutto la retorica sull’apartheidprecaria e sulla cittadellaassediata dei garantiti.Ieri erano in piazza per formareuna coalizione che dadomani ottenga, qui e ora,continuità  di reddito, tuteledentro e fuori dal mercato dellavoro, nuovo Welfare: le condizioni per una vita dignitosa e per scegliere autonomamentecome realizzarsi nel proprio percorso esistenziale, senza essere schiavi del lavoro e della sua mancanza, per accedere a una cittadinanza piena. Sanno bene anche a chi far pagare questa necessaria riforma del patto sociale. Forse proprio per questo un politico democratico, un economista di partito e un capitalista di Stato (sembra una barzelletta!) mettono subito le maniavanti. Che abbiano il coraggio di metterle nel loro portafogli: una volta tanto! Solo dopo se ne potrà  parlare serenamente.


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