Amartya Sen: la povertà  è la prima emergenza democratica

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“I confini della libertà  economica”, questo il tema del Festival, richiama il nucleo portante della riflessione dell’economista che più di altri si è domandato quale sia il rapporto tra la libertà  economica (fondamento imprescindibile del capitalismo) e il ruolo “sociale” delle istituzioni pubbliche: una relazione che influisce pesantemente su concetti quali sviluppo, uguaglianza, democrazia.

Di tutto questo Sen ha parlato nella sua relazione giustamente collocata come “anteprima” dei dibattiti che animeranno i quattro giorni del Festival in programma dal 2 al 5 giugno. Tito Boeri, responsabile scientifico della kermesse, nell’apertura dei lavori ha rivendicato la bontà  di un Festival che, quasi in filigrana con il magistero scientifico di Sen, ha sempre insistito sull’impatto che l’economia può avere sulla qualità  della vita dei singoli e dei popoli. Stato, mercato, libertà , informazione, sviluppo, povertà  non sono parole vuote ma determinano il destino dell’umanità  e devono essere colti nelle loro inscindibili relazioni.

L’intervento di Sen è stata una vera e propria lezione di economia politica nel senso classico del termine: secondo l’impostazione generale del Nobel indiano, non possono esistere soltanto modelli economici teorici da applicare in un secondo tempo sul campo ma la ricerca deve coordinarsi con altre discipline e soprattutto deve intersecarsi con concetti quali benessere, libertà , opportunità . Aggiornando una tradizione che comincia con Adam Smith (proseguita nel secolo scorso da Keynes e Hayek), Sen ritiene che la scienza economica debba avere come obbiettivo il progresso generale delle nazioni (che oggi abbraccia l’orizzonte globale e non è riducibile al solo Pil; “occorre innanzi tutto rendersi conto che se è vero che la crescita del Pil è importante per le condizioni di vita, il suo impatto completo dipende in larga misura da come vengono impiegate le risorse in più”) e per questo non può non incontrare la politica e l’etica. Sen si colloca in una prospettiva “anti riduzionista” nel senso che l’economia, scienza fredda o triste per eccellenza, per essere tale deve porsi al centro della “casa”, cioè del mondo, incrociando tutta la concretezza dell’umano. L’economia non è tanto numeri e calcoli ma una questione di libertà .

Non è un caso che Sen abbia sempre interloquito con la proposta filosofica di John Rawls, volta a fornire le basi teoriche (e nell’intenzione anche pratiche) di un nuovo liberalismo democratico. Per essere veramente tale la libertà  deve effettivamente concretizzarsi nei comportamenti ordinari, nella vita quotidiana, nella possibilità  di attuare nella realtà  le nostre scelte. Nella sua relazione introduttiva all’incontro, il professor Stefano Zamagni (economista e presidente dell’agenzia per il terzo settore, molto attento ai rapporti tra etica e economia) – già  allievo del Nobel all’università  di Oxford – ha insistito sulla riflessione di Sen intorno alla libertà . “Esistono tre livelli di libertà : la libertà  intesa come immunità , come autonomia e come capacitazione (termine che significa “capacità  di azione”, traduzione dell’inglese capability). Le prime due forme sono quelle tradizionali. Libertà  da: l’individuo non deve essere costretto dall’autorità  esterna a determinati pensieri e comportamenti, deve essere, per quanto possibile, immune da costrizioni. Libertà  di: la democrazia si fonda sulla libertà  di parola, di movimento, di dissenso, di associazione, di stampa e cosi via. Ma per non restare sul terreno teorico dei principi occorre introdurre un altro livello di libertà , quello della possibilità  di una concreta attuazione delle proprie scelte. Se mi mancano i mezzi come posso dire di essere pienamente libero? Per questo la povertà  è una questione di democrazia e di libertà ”.

Un obiettivo primario diventa dunque quello di ridurre la povertà . Sen utilizza parole chiare “la questione principale non è l’imitare ma espandere la libertà , dobbiamo liberare l’idea di libertà , non come permesso ma come scelta”. La democrazia e l’esercizio reale di queste libertà  politiche che non può essere disgiunta dalle domande etiche, dal sapore kantiano, su che cosa mi è lecito fare, su cosa devo effettivamente scegliere. L’economista indiano non sembra tanto interessato a cercare nuovi modelli teorici del capitalismo oppure a scovare i colpevoli della crisi in atto (anche se non esita a fare nomi e cognomi Reagan Thatcher in politica, Friedman in economia) ma preferisce investigare il rapporto, sempre conflittuale ma imprescindibile tra stato e mercato.

Ma anche qui guardano in faccia i reali problemi: povertà , diseguaglianza sociale, disoccupazione, mancanza di assistenza sanitaria e di istruzione. “La crisi attuale a sovrastimato i processi di autoregolamentazione del mercato, la sua capacità  adattativa, mentre sono stati sotto valutati i problemi veri, quelli che interessano la vita concreta delle persone”. L’azione regolativa dello Stato deve intervenire con più decisione sempre però svolgendo un ruolo strumentale in vista del benessere collettivo. Occorre il rafforzamento delle istituzioni non di mercato, attraverso nuovi modelli, uno dei quali potrebbe essere quello di “cooperazione globale” secondo uno schema non tanto diverso da quello che nella piccola realtà  del Trentino il sistema cooperativo applica da più di un secolo. La cooperazione – ha detto Sen a margine dell’incontro – è capace di eliminare le disuguaglianze perché ognuno è promotore della crescita della comunità .



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