Le domande inascoltate di Milano

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A Milano ormai da un quindicennio sono un protagonista costante della vita pubblica cittadina, arrivando a rappresentarsi, in un’affollata assemblea del giugno scorso, come i referenti dell’anima civica della città . Ho tentato di coglierne il messaggio interrogandoli quartiere per quartiere.Abituati alla politica delle grida a volte non ci si accorge di quella dei sussurri, forma del conflitto nell’epoca delle passioni tristi. Questo è vero soprattutto nelle grandi aree metropolitane dove in questo scorcio di nuovo millennio sono cresciute nuove forme con cui si fa società  dal basso. Ne sono un esempio i comitati dei cittadini, piccoli movimenti di quartiere o di strada, spesso ad “un colpo solo”.

Profeti senza incanto li definirei, perché consapevoli di vivere in un’epoca storica caratterizzata da un mutamento molecolare continuo senza certezza di grandi orizzonti; eppure come i profeti “parlano avanti”, sono segni di ciò che verrà . Per questo mi pare importante ascoltarli. A Milano ormai da un quindicennio sono un protagonista costante della vita pubblica cittadina, arrivando a rappresentarsi, in una affollata assemblea del giugno scorso, come i referenti dell’anima civica della città . Ho tentato di coglierne il messaggio interrogandoli quartiere per quartiere. Ne è uscito un ritratto che ci dice molto di come la città  stia cambiando. In filigrana ci indicano almeno tre grandi trasformazioni che hanno investito la Milano dell’ultimo ventennio.

La crisi della rappresentanza anzitutto, con l’evanescenza dei partiti post-Tangentopoli virtualmente scomparsi fuori dalle aule di Palazzo Marino. Poi, soprattutto, il mutamento radicale della composizione sociale di Milano, dal punto di vista dei lavori, dell’etnia, del rapporto tra chi vive e chi utilizza la città . Tutto ciò precipita nell’emergere dello spazio fisico dei quartieri come fondamento dell’identità  e del sindacalismo di territorio come nuova modalità  dell’agire collettivo. Quando venti anni or sono li studiammo per la prima volta, i comitati erano tipicamente piccoli gruppi, flebilmente organizzati, monotematici e orientati alla difesa del villaggio urbano. Oggi a Milano ne abbiamo censiti come attivi 81, in parte cani sciolti, in parte coordinati dalle due reti cittadine storiche, il Coordinamento dei comitati milanesi e la Rete dei comitati.

Nati per lo più dai comitati di quartiere delle periferie storiche oppure lungo i grandi assi viari e commerciali della città , Corso Buenos Aires, Viale Monza-Viale Padova, Corso Sempione mettendo al centro la issue della sicurezza, nel corso degli ultimi anni si sono diffusi nelle aree centrali e semi-centrali investite da grandi e piccole ristrutturazioni immobiliari e urbanistiche e nelle aree della “movida”, quegli ex quartieri popolari che l’emergere dell’economia dell’intrattenimento ha reso lo scenario di un processo di imprenditorializzazione e privatizzazione degli spazi urbani, dei parchi, delle piazze: dai Navigli a Corso Como, dal Parco Sempione alle Colonne di San Lorenzo. I comitati sono reti deboli se misurate con i tradizionali parametri che si usavano quando la politica era fatta da grandi organizzazioni di massa: composti in media da non più di 7-8 attivisti “permanenti”, partecipazione intermittente, scarse risorse organizzative e ancor meno finanziarie. E tuttavia, come fisarmoniche, capaci di mobilitare consenso e produrre rappresentazione mediatica a partire dalle reti di prossimità . Qualità  che gli viene dall’essere il canale attraverso cui i ceti professionali e della conoscenza cresciuti nella transizione terziaria sviluppano una pratica politica nella città .

Se all’origine i comitati erano espressione soprattutto di ceti medi tradizionali e popolari, oggi per lo più sono soggetti centrali quelli che ne guidano l’attivismo: tra gli attivisti milanesi il 49,4% (62,7% nel cerchio interno dei loro direttivi) è occupato nei diversi settori dell’economia della conoscenza oppure nel welfare, il 49,8% ha tra 35 e 54 anni e il 43,8 % ha una laurea o titolo successivo. Esprimono nella dimensione della prossimità  e del quartiere il malessere di una composizione sociale metropolitana delle professioni, evoluta e riflessiva, che sta vivendo momenti difficili anche sul fronte del mercato del lavoro, come ho potuto constatare in un’altra ricerca sulla città .

L”immagine di un comitatismo tutto preso dalla sindrome securitaria va quanto meno aggiornata. Se si guarda agli argomenti di cui si occupano, nel 45,1% dei casi sono tematiche dell’ambientalismo urbano (inquinamento, traffico, parchi, ecc.), nel 43,9% dei casi degrado ambientale dei quartieri (inteso come assenza di piccola manutenzione ordinaria) e vita notturna rumorosa, il 36,6 % di trasformazioni urbanistiche piccole e grandi e solo il 22,0 % di questioni come sicurezza, immigrazione, microcriminalità , ecc.. Nel formulare l’agenda dei problemi di quartiere, i loro attivisti intervistati a fine 2010, indicavano per il 67,9% come “questione che costituisce motivo di disagio” il traffico, il 56,1 % l’inquinamento ambientale e il 46,1% la poca attenzione per il quartiere da parte delle istituzioni, mentre la forte presenza di immigrazione extracomunitaria era solo al sesto posto (32,2%) seguita dalla tipica questione securitaria dello spaccio/prostituzione (25,2%). Un tema, quello dell’ordine e della sicurezza che, va sottolineato, non scompare qualora lo sguardo si allarghi alle priorità  di policy per la città  nel suo complesso, laddove se al primo posto torna la questione dell’inquinamento, sicurezza e ordine pubblico si piazzano al secondo posto subito seguite dal traffico e dal potenziamento dei servizi per le famiglie.

È la qualità  della vita il tema di fondo che tuttavia, nella testimonianza diretta degli attivisti che ho intervistato, tende a spacchettarsi in tre grandi questioni di fondo: la prima è la domanda d’ordine che tuttavia, e qui sta il punto, non si esprime soltanto in una costellazione di valori fatta di rancore e chiusura rispetto al diverso e allo straniero, ma contiene un’anima che mette al centro il “rispetto delle regole” e l’esercizio dei controlli sul territorio come espressione di eguaglianza dei cittadini, di diritti e doveri, di riappropriazione di spazi pubblici di vicinato. Un orientamento che si coniuga alla seconda questione, propria soprattutto dei comitati “anti-movida” e “anti-ristrutturazioni immobiliari”, rappresentata dalla linea di divisione pubblico/privato che vede i comitati come forme di tutela dal basso dello spazio pubblico rispetto alle profonde trasformazioni che l’agire dei poteri economici sviluppa nella metropoli. Infine emerge una questione sociale come domanda di inclusione o se si vuole di rifiuto di divenire periferia che anima i comitati insediati nei quartieri della corona esterna da Quarto Oggiaro a Molise Calvairate, da Chiesa Rossa a Stadera.

Anche sul piano della forma-comitato compaiono delle novità . Solo il 27,7% è rappresentabile come comitatismo “Nimby” focalizzato esclusivamente su singole questioni limitate ad una via o piazza (e per lo più si tratta di piccoli comitati “flash” che si occupano di parcheggi) mentre quasi il 70 % (67,5 %) tende a porsi come rappresentante della domanda sociale del proprio quartiere a “360°” nel vuoto dei partiti e nella debolezza dei Consigli di Quartiere, istituzioni con cui i comitati cercano costantemente l’alleanza, ma che vengono percepiti come destituiti di ogni potere e autonomia d’azione. Perché ciò che emerge con più forza è la crisi della società  di mezzo milanese: i comitati proliferano perché tra cittadino e istituzione è il vuoto e oltre il 70% dei loro attivisti si vedono come coloro che raccolgono le domande dei cittadini e le rappresentano direttamente nelle sedi istituzionali sostituendo i partiti. Vista dall’osservatorio dei comitati, Milano vive una grande contraddizione tra complessità  sociale e forza della società  civile e debolezza dei livelli politici intermedi.

C’è in sostanza una grande questione di decentramento dei poteri. Una evoluzione che si esprime anche come istituzionalizzazione in varie forme: cresce il numero dei comitati che adottano uno statuto, di quelli che (per lo più con scarso successo) tentano di formalizzare l’adesione. Spesso è l’inserimento nelle reti dei progetti urbanistici come Urban o i Contratti di Quartiere che ne ha incentivato la crescita organizzativa. A volte sono i comitati di più antica data ad evolvere in questa direzione: alla Comasina, ad esempio, o nello storico quartiere di Molise-Calvairate. In altri casi è l’affermarsi di reti civiche di nuovo tipo: sui temi dell’inquinamento, della mobilità  urbana, della difesa delle scuole di quartiere, ecc. Sono reti che, magari, pur agendo in un quartiere assumono un respiro metropolitano e appaiono più legate ai canali dei social network da Facebook a Twitter; non scomparendo però nel virtuale della rete ma capitalizzando i contatti del web in petizioni o manifestazioni. Sono soprattutto queste le reti in cui il 60% degli attivi è donna e in cui la spinta ideale parte dai temi del privato e magari dall’identità  di genitori per poi allargarsi alla città .

La politica che verrà  ne tenga conto. Usando tre categorie a me care per leggere la società , nei sussurri milanesi ci sono tracce di una comunità  di cura del proprio territorio e della qualità  della vita che si allea con una comunità  operosa fatta di ceti produttivi che attraversano la crisi del ceto medio e chiedono partendo da un nuovo mix di passioni e interessi una modernizzazione dal basso.

 

 


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