Monti e le liberalizzazioni imperfette

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Queste rendite erano in effetti delle imposte sul resto degli italiani. Come molte imposte, oltre a essere un peso quasi fiscale sui cittadini e sulle imprese italiane, quel sistema riduceva sia l’occupazione (specialmente per i giovani) che la crescita economica. La liberalizzazione proposta merita di ricevere il pieno appoggio sia da parte dei cittadini che da parte dei politici. Allo stesso tempo è importante non lasciarsi trascinare da entusiasmo prematuro e ricordare alcuni aspetti.
Il primo è che il decreto dovrà  andare in Parlamento e diventare legge. Il governo Monti ha ovviamente controllo sul decreto ma molto meno controllo sulle decisioni del Parlamento dove le varie lobby, quelle che saranno colpite dalle liberalizzazioni proposte, cercheranno di cambiare il risultato finale del decreto rendendolo più favorevole ai loro interessi. La speranza è che gli emendamenti che saranno proposti e accettati non indeboliranno il prodotto finale. Naturalmente ci sarà  anche il pericolo che le riforme potranno essere indebolite nel processo di scrivere i regolamenti attuativi, come spesso avviene.
Il secondo aspetto è che, a dispetto dell’ambizione del decreto, le liberalizzazioni proposte liberalizzano alcuni settori ma non altri; e alcuni dei settori non toccati sono molto importanti dal punto di vista degli effetti sull’economia. Questa selettività  inevitabilmente creerà  l’impressione e l’accusa che le scelte sono state selettive e solleverà  questioni di equità  nelle scelte fatte. Sarebbe quindi prudente per il governo affermare subito che questa prima onda di liberalizzazione sarà  seguita a breve da un’altra che coprirà  gli altri settori dell’economia.
Il terzo aspetto riguarda gli effetti economici della liberalizzazione. Circolano già  stime piuttosto ottimistiche degli effetti attesi sull’occupazione e sulla produttività . Queste stime prevedono effetti importanti a relativamente breve termine, entro uno o due anni. Questo aspetto è importante e può creare difficoltà . L’evidenza che viene da Paesi che in periodi passati hanno fatto riforme strutturali importanti, che hanno liberalizzato le loro economie (Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Svezia, Cile e altri) indica che, effettivamente, i risultati che si possono anticipare sono importanti, ma, per concretizzarsi, richiedono più di un anno o due. Spesso richiedono vari anni. Le ragioni di questo ritardo sono almeno due. La prima è che la reazione da parte dei cittadini alla liberalizzazione avviene dopo che si è sicuri che le riforme non saranno abolite da un governo successivo. C’è spesso valore economico nell’attendere, come teorizzò Avinah Dixit anni fa. Per un governo tecnico, che ovviamente ha un termine ben definito, il pericolo che sia succeduto da un governo politico con idee diverse naturalmente rimane. La seconda ragione è che reazioni a cambi strutturali richiedono sempre del tempo.
L’effetto positivo della liberalizzazione avverrà  più rapidamente se (a) il governo proseguirà  subito con le riforme per gli altri settori dell’economia; (b) se il decreto non incontrerà  difficoltà  in Parlamento che lo indebolirebbero; e (c) se i partiti politici importanti daranno indicazioni che se ritornassero al potere non farebbero marcia indietro. Allo stesso tempo sarebbe prudente non fare molte promesse che farebbero giudicare l’effetto di queste liberalizzazioni da ciò che succederà  nel breve termine. Queste promesse potrebbero creare aspettative non realistiche e portare alla conclusione che la riforma non ha prodotto quello che aveva promesso.
Presidente onorario dell’Istituto internazionale di finanza pubblica


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