Megalopoli-fantasma del miracolo cinese

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Nascono fino a dieci nuove città  l’anno, si edifica dovunque senza criterio. A comprare sono per lo più speculatori che sperano di rivendere a prezzi più alti. Ci sono centri pensati per ospitare 300 mila persone e abitati solo da 30 mila. Un’impiegata: «Non riuscirò mai a comprare una casa i costi sono troppo alti»

La città  di Sanya, nell’isola tropicale cinese di Hainan, si affaccia su un bel mare trasparente, unico in tutto il Paese. Ma il boom costruttivo di Hainan non è diverso da quello che si può vedere altrove: i grattacieli poco lontani dal mare, che offrono viste sconfinate sul Mblu, sono senz’altro attraenti per i potenziali acquirenti, che arrivano sull’isola un aereo dopo l’altro. Alcuni sono qui per le prime vacanze al mare della loro vita. La maggior parte per visitare dei progetti immobiliari appena finiti o ancora in costruzione, per fare un investimento: «Bisognava comprare qualche anno fa», dice Bao Zhilong, direttrice di una piccola agenzia turistica che ormai dispera di potersi acquistare una casa: «I prezzi sono impazziti».
Eppure, appena un paio di chilometri più a Nord della spiaggia di Sanya, ecco che appare una delle tante città  spettrali della Cina: una torre dietro l’altra, grattacieli a quaranta piani di una ventina d’appartamenti ciascuno, strade semideserte e gru in piena attività  che continuano a costruire senza sosta. I grattacieli proseguono fino a dieci chilometri verso l’interno, ed è inevitabile restare perplessi chiedendosi chi mai vorrà  comprarsi appartamenti e villette così lontani da alcuna attrazione.
A Chongqing, una municipalità  di 31 milioni di abitanti nell’interno della Cina, il boom nelle costruzioni è spettacolare come a Sanya: Xu Lin, una giovane agente immobiliare, ha l’aria un po’ a disagio nel dire: «Sì, stanno costruendo troppo… non so davvero come verranno assorbiti tutti questi appartamenti, anche perché i prezzi salgono così in fretta!».
Deliri locali Ovunque, la stessa cosa: palazzoni, palazzoni, e ancora palazzoni, che espandono in modo incontrollato le città  preesistenti, e creano anche dieci nuove città  l’anno. Alcune di queste sono progetti interamente ideati dalle autorità  locali per stimolare il Prodotto interno lordo, ma poi restano vuote. Come la città  di Kangbashi, a trenta chilometri da Ordos, nelle steppe della Mongolia interna, una delle più famose «città  fantasma» della Cina: costruita nel 2004 per ospitare 300 mila persone, oggi resta ancora semivuota. C’è un curioso museo d’arte dalla forma irregolare e un po’ bulbosa, viali alberati con villette e shopping malls. Per il momento è tutto vuoto. Gli abitanti sono meno di trentamila – per lo più impiegati governativi convinti a venire ad abitare qui dopo una serie di articoli della stampa cinese critici della megalomania e inutilità  del progetto.
Dalla Mongolia interna al dinamico Guangdong, una delle regioni a più alto Pil dell’intera nazione, ecco che Dongguan (una delle città -fabbrica locali) ha costruito il più grande centro commerciale del mondo, il South China Mall. E’ talmente grande da essere attraversato da un canale, che si può percorrere in gondola – e infatti un’imitazione del campanile di San Marco a Venezia lo sovrasta, insieme a una replica dell’Arco di Trionfo di Parigi. I suoi 1500 negozi però sono quasi tutti chiusi e sfitti, e le uniche persone che percorrono il South China Mall sono gli addetti alle pulizie.
Qualche centinaio di chilometri più in là , a Daya Bay, c’è una nuova città  costruita per contenere dodici milioni di persone. Il 70 per cento delle case costruite qui è ancora vuoto, cinque anni dopo. Non che nessuno stia comprando, qui e altrove: solo che gli acquirenti sono per lo più investitori, che hanno deciso che il boom immobiliare aiuterà  ad aumentare il loro capitale, e aspettano per rivendere.
I nuovi ricchi in cerca di lusso Gillem Tulloch, direttore della Forensic Asia Ltd. di Hong Kong, non è di quest’avviso: «Siamo davanti a una bolla speculativa senza precedenti», dice, prevedendo una crisi di proporzioni significative: «Si calcola che ci siano circa 64 milioni di appartamenti vuoti in Cina. Aspettavamo i dati aggiornati in aprile, ma ancora non sono stati pubblicati. La Cina è un Paese a capitale chiuso, e c’è molto contante in circolazione: per superare la crisi del 2008 Pechino ha immesso fondi nel mercato, aumentando in modo insostenibile l’inflazione. Ad acquistare sono in particolare i nuovi ricchi cinesi che si interessano di proprietà  di lusso. Questo mentre molti altri non possono permettersi nemmeno quello di cui hanno bisogno». Tulloch è pessimista sul futuro, e prevede che la bolla scoppierà  di qui a due anni, portandosi dietro la valuta cinese «che dovrà  svalutare in modo massiccio», dice, ricordando come prima della crisi delle monete del 1997, che ebbe origine in Thailandia, tutti reputassero le valute delle «tigri asiatiche» sottocosto. L’inflazione cinese (che continua a essere superiore al 5 per cento malgrado i tentativi del governo centrale di abbassarla) «sta facendo perdere competitività  alla Cina, ma quel “ribilanciarsi” dell’economia di cui tanto si parla non è ancora in atto: la Cina è un Paese che continua ad avere le esportazioni come motore principale di crescita, i consumi restano molto indietro perché il salario medio è molto basso».
«La crisi è inevitabile» Le retribuzioni dei cinesi infatti restano sotto il livello di 1000 euro all’anno, secondo alcune statistiche. Tulloch non rimane convinto da nessuno degli argomenti solitamente avanzati per difendere la sostenibilità  della crescita economica cinese (non ultimo quello che il governo di Pechino farà  l’impossibile per impedire uno scoppio della bolla immobiliare), reputando che tutto quello che è avvenuto finora è servito soltanto a «ritardare l’inevitabile», peggiorando la situazione e rendendo più profondala crisi.
Quello che succederà  è naturalmente ancora un mistero. Meno misteriosa invece è la desolazione di luoghi come Chenggong, nello Yunnan, dove si trova un campus costruito per ospitare 2,3 milioni di studenti. Ce ne sono undicimila. O di Zhengzhou, dove un intero nuovo quartiere di periferia appena finito, con alberghi, centri commerciali e torri residenziali, non ha nemmeno un pedone per la strada. Il dibattito sull’immobiliare cinese è aperto.


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