Noi e la sindrome giapponese

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Sorprendentemente va un po’ meglio di noi anche la Spagna, nonostante il crollo del mercato immobiliare. In un decennio, fra il 2001 e oggi, il reddito medio delle famiglie tedesche è cresciuto (al netto dell’inflazione) dell’ 11 per cento, quello delle famiglie francesi del 6 per cento. In Italia è sceso del 4 per cento. Poiché il reddito medio delle famiglie è una misura del potere d’acquisto della busta paga dei lavoratori, non bisogna sorprendersi se sempre più famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese. Nel confrontare queste medie occorre poi tener conto che la distribuzione del reddito è un po’ più diseguale in Italia, rispetto a Francia e Germania. L’indice di Gini (che misura la distribuzione dei redditi e che varrebbe zero se questa fosse perfettamente egualitaria) è 32 in Italia, 29 in Francia e Germania. Ciò significa che una caduta del reddito si concentra di più sulle famiglie meno fortunate. Più diseguale è anche l’incidenza della disoccupazione. Come osservavamo Alberto Alesina e io sul Corriere del 3 maggio, in Italia per ogni disoccupato adulto ci sono quattro disoccupati giovani, a fronte di 2,4 nell’area euro e 1,4 in Germania. Insomma se un’economia non cresce tutto diventa più difficile. L’Italia sta diventando il Giappone d’Europa. Un Paese solido, nonostante l’alto debito, ma che da tempo ha smesso di crescere. In vent’anni il reddito pro capite giapponese è cresciuto del dodici per cento, come in Italia; negli Stati Uniti, anche dopo la crisi, è più alto del 35%, in Germania del 28%. La mancata crescita non solo rende più poveri: fa anche perdere influenza nel mondo. Vent’anni fa il Giappone era il punto di riferimento dell’Oriente. Oggi, rispetto a India, Corea e Cina, è diventato un Paese molto meno rilevante. Il successo della Germania dipende certamente da molti fattori, ma un ruolo determinante lo hanno avuto il coraggio e la visione del cancelliere Schrà¶der, in seguito, come molti politici preveggenti, rapidamente dimenticato. Nel 2002, all’inizio del suo secondo mandato, Schrà¶der incaricò una commissione presieduta da Peter Hartz (un dirigente della Volkswagen, egli pure in seguito sfortunato), di redigere un’agenda per il decennio. Dalle proposte scaturite dal lavoro di quella commissione vennero le quattro riforme del welfare e del mercato del lavoro che probabilmente il socialdemocratico Schrà¶der pagò con la sconfitta elettorale del 2005, ma che hanno trasformato la Germania rendendo possibile la crescita sotto i governi della cristiano-democratica Angela Merkel.


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