Nomadi tibetani e l’incubo nucleare tra le montagne

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Forse meno condivisibile, quanto meno per quanto riguarda il «messaggio», il premio speciale del Club Alpino Italiano a The Asgard Project un film britannico incentrato sull’astro nascente Leo Houlding (ospite del Festival e protagonista di una serata a lui dedicata). Nulla da eccepire alla perizia e al coraggio dei base-jumpers, veri e propri acrobati della montagna che arrampicano a cronometro e arrivati in cima, senza neanche un riposino, si lanciano con i loro leggerissimi paracadute. Ma che senso ha portarsi (in aereo) oltre settecento chili di materiale sull’isola (ex) immacolata di Baffin, in Canada, invece di «assaporarla e conquistarla passo dopo passo», come non ha mancato di sottolineare, il «grande vecchio» dell’arrampicata prima e dell’esplorazione poi, Walter Bonatti? 
Reduce da un piccolo intervento alla spalla, il «grande vecchio» è tornato a Trento, da par suo, dopo tanti anni, per presentare il suo ultimo libro Terre Alte e ricordare, assieme al «fratello» Pierre Maszeud («non è vero che è il sangue a comandare, fratelli non si nasce, si diventa») la tragedia del Pilastro centrale del Freney, sul Monte Bianco, che cinquant’anni fa costò, tra mille polemiche mai sopite («in Italia c’è chi mi considera ancora un assassino, in Francia sono un eroe») la vita a quattro compagni di cordata. 
Un dibattito intenso, ma al tempo stesso pacato, e ben moderato da un altro personaggio controverso, Reinhold Messner (che sul Nangar Parbat perse, in circostanze mai ben chiarite, un fratello) e seguito con molta attenzione ed educazione dal foltissimo pubblico, di ogni generazione. C’erano proprio tutti, dai compagni di allora, oggi ultraottantenni, ai loro figli e nipoti. Fino ai grampeur contemporanei, i cosiddetti «ragni urbani» che arrampicano sempre, ovunque e comunque, compresi i cornicioni dei palazzi di Parigi e i ponti sulla Senna o i grattacieli di Dubai. 
«Voi parlate di gradi, ragazzi, io cercavo e provo tutt’ora, solo sensazioni. Per questo ho smesso di arrampicare. Non mi bastava più», ha detto Bonatti, che negli ultimi anni se ne è andato in giro per il mondo da solo, lontano, lontanissimo dai riflettori. «Forse dovreste tentare di dare un significato al vostro gesto atletico». 
Alla riflessione, mentre l’incubo nucleare dopo la catastrofe di Fukushima incombe di nuovo sul mondo, ci invita – tutti – la saggia decisione della giuria di assegnare il suo premio speciale all’agghiacciante racconto di Into ethernity. Un pesante – come la materia che tratta – documentario del regista finlandese Michael Madsen che entra nei dettagli dell’ambizioso, oramai pressoché ultimato progetto, di Onkalo. Una speduta località  della Finlandia che dovrebbe diventare il sepolcro dell’umana idiozia. Il governo finlandese ci ha messo oltre 10 anni per realizzarlo ed è convinto, pur tra mille dubbi e dettagli ancora da definire, che sia la soluzione al problema delle scorie nucleari. Si tratta di un labirinto di gallerie scavate a 700 metri di profondità , dentro le quali saranno seppellite per i prossimi 100mila anni (sempre che qualcuno non le trovi prima) le scorie. Tutto pronto, praticamente, per iniziare gli interramenti. Tranne alcuni dettagli, che poi dettagli non sono, bene illustrati nel film. Tipo se informare, e nel caso come e quando, le future generazioni di cosa c’è nascosto là  sotto. Basteranno delle lapidi con un messaggio in tre lingue? O sette? O è meglio nascondere il tutto, nel timore che l’arroganza e la curiosità  porti comunque qualcuno a scavare? L’ennesima ipocrisia, l’ennesimo tentativo di aggirare il problema del nucleare. Di cui le scorie sono solo un aspetto, sia pure determinante.
«Il nucleare è sbagliato. E grazie al cielo noi italiani abbiamo già  detto di no», dichiara Messner. Ma la situazione potrebbe cambiare, osserviamo. «No, perché il referendum si può e si deve fare e lo vinceremo. Gli italiani sono un popolo intelligente, non si lasceranno incantare ancora una volta dalle chiacchiere di Berlusconi». Chissà .


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