Quel diritto alla speranza

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Ancor prima di avere il diritto di chiederci, e di chiedergli, che cosa vogliano, perché protestino, che cosa propongano e quali siano i loro progetti per il futuro, prima ancora di criticare le loro ragioni o le loro richieste, è indispensabile sapere chi siano. Solo da ciò che sono, e non da ciò che chiedono, riusciremo ad estrarre un senso a ciò che sta accadendo oggi nelle piazze di Spagna, e forse domani d’Europa, la prima grande crisi della post-democrazia sotto la pressione della crisi economica e finanziaria mondiale.

Ed enunciare chi siano quelle decine di migliaia di persone è semplice: disoccupati che tirano avanti con lavori precari, orfani del presente; impiegati che a loro volta tirano avanti con lavori precari, orfani del futuro, con salari irrisori; giovani con condizioni di vita sempre più deteriorate, senza la possibilità  di accedere a una soluzione abitativa decente, senza la possibilità  di mettere su una famiglia, dolorosamente consapevoli del fatto che vivranno peggio della generazione dei loro genitori; pensionati con pensioni che non bastano per mangiare e arrivare alla fine del mese; universitari che credevano di aver raggiunto i propri sogni solo per scoprire che li attendono gli uffici di collocamento (il 43% dei giovani è disoccupato) o delle condizioni di lavoro così offensive, dei salari così infimi, dei contratti così precari, a volte di qualche giorno o di qualche settimana, in posti che non hanno niente a che vedere con ciò che hanno studiato all’università , da aver abbandonato qualsiasi speranza, capiamolo bene, da aver abbandonato qualsiasi speranza che il governo, i partiti politici, il sistema politico, o chiunque sia a capo di un’istituzione abbia la capacità  o l’interesse di mettere rimedio alla loro situazione, alle loro situazioni.
Ci sembra strano? No. Sono così difficili da capire i motivi del loro malessere? Sicuramente, no. Non per chiunque sia ancora capace di pensare al di fuori degli schemi riduzionisti di una politica istituzionale infestata dal discredito, dalla corruzione, dall’inefficienza e dall’impotenza nell’offrire soluzioni quando le entrate dello Stato crollano per la crisi e i mercati impongono degli aggiustamenti sociali. Gli “indignados”, tuttavia, oltre a essere quello che sono, si sono riuniti nelle piazze per esibire la lista delle loro richieste, per prendere la parola, per esporre le loro esigenze, la loro critica alla totalità  della politica realmente esistente, ma anche, ahimè, le loro evocazioni rielaborate di esperimenti storici liberticidi di sventurata memoria, le loro illusioni antiparlamentari la cui applicazione in passato sfociò inevitabilmente in situazioni aberranti e abusi, oltre ai consueti slogan da cortile di facoltà , abbasso l’Fmi, confisca dell’edificio vuoto di una banca perché venga messo a disposizione, no all’economia, no alla politica, sia chiaro, no a questa politica, anche senza la capacità  di formularne un’altra, che non è poi compito loro.
I partiti, di sinistra e di destra, possono ignorare gli “indignados” se vogliono, e sicuramente lo faranno facilmente quando questi cominceranno a diluirsi nei prossimi giorni, dopo avere esaurito l’esplosione di libertà  e di energia dei giorni che hanno preceduto le elezioni. Gli “indignados” se ne torneranno a casa e scompariranno dalle piazze, ma non lo faranno il loro malessere, il loro futuro spezzato, i loro lavori precari, le loro basse pensioni, la loro mancanza di lavoro. Insisto: i partiti possono ignorarli, ma non lo faranno mettendo a rischio esclusivamente le loro aspettative politiche, che è l’unica cosa che sembrano capire. Lo faranno mettendo a rischio la stabilità  e la validità  morale dell’insieme del sistema democratico.
traduzione di Luis E. Moriones

 


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