Libro bianco: “Crisi pagata dai poveri, vittime di un welfare al contrario”

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TIROMA – È un “welfare al contrario” quello messo in campo dai grandi della Terra per affrontare i problemi scaturiti dalla crisi economica. I soldi si muovono, infatti, dai paesi più poveri verso quelli più ricchi. Non solo, ma i paesi del Sud sono quelli che pagano di più il prezzo della crisi, sia in  termini economici, con la riduzione dei pochi benefici che l’economia globale e la crescita avevano portato loro negli ultimi decenni, sia con la riduzione progressiva degli aiuti sottoforma di politiche di cooperazione allo sviluppo sempre meno efficaci. Lo dice “Libro bianco sulle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo in Italia” presentato questa mattina a Roma.

Secondo il rapporto “i Paesi del Sud sono gravemente colpiti dalla speculazione finanziaria che si sposta sempre di più sulle materie prime e sulla terra coltivabile, trasformando il cibo ormai in un asset finanziario”. Inoltre “le evoluzioni dei prezzi mettono i contadini del Sud in ginocchio ogni giorno, mentre le Istituzioni finanziarie internazionali come Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale rinnovano le politiche che hanno portato al collasso e alla crisi sociale”. 

Il Libro Bianco denuncia anche gli scarsi investimenti verso il sud del mondo, che non solo sono in calo ma “assumono frequentemente la forma di speculazione finanziaria garantendo ormai pochi benefici ai Paesi poveri, mentre le grandi lobby economiche, e in Italia Confindustria, spingono affinché le Istituzioni che regolano tali investimenti, come l’Unione Europea, non introducano regole e standard in materia sociale ed ambientale”. Nel frattempo cresce il sostegno al settore privato e le imprese sono considerate come la più efficace “arma di sviluppo”. “Le nuove tecniche di finanziamento si basano sull’idea che la crescita economica sia una condizione necessaria dello sviluppo e ciò debba avvenire tramite il settore privato- si legge ancora-. La finanziarizzazione dello sviluppo mina alla base l’emancipazione che dopo tre decenni di condizioni di aggiustamento strutturale imposte dalla Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale finalmente le economie emergenti e diversi Paesi del Sud stavano vivendo”. (ec)

Libro bianco cooperazione: “L’Italia non ha voce autorevole in Europa”

Rapporto Sbilanciamoci. Il dibattito langue e il processo di riforma è ormai una palude. Argomento ormai fuori dall’agenda parlamentare. “Manca la volontà  politica di percorrere nuove strade”

ROMA – L’Italia ha un ruolo marginale nel contesto della cooperazione allo sviluppo in Europa, è fanalino di coda per gli impegni economici rapportati al Prodotto Interno Lordo e non esprimere una voce autorevole in Europa su questi temi. Lo denuncia il “Libro bianco sulle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo in Italia” presentato questa mattina a Roma. Secondo il rapporto di Sbilanciamoci!, “nonostante anche l’Ocse abbia nuovamente sottoposto al governo italiano molte raccomandazioni per il rilancio della cooperazione e per la riforma della Legge 49 del 1987, il dibattito langue e tale processo di riforma è ormai una palude e l’argomento è ormai fuori dall’agenda politica parlamentare”. Quello che manca è “la volontà  politica di percorrere nuove strade” nonostante le proposte ci siano.

Il governo italiano sostiene appieno la “finanziarizzazione dello sviluppo”, “smantellando da un lato la cooperazione allo sviluppo con forti tagli (le risorse sono ormai minime e hanno visto un crollo spaventoso negli ultimi tre anni) e sostenendo una visione dell’aiuto pubblico basata principalmente su aiuti al settore privato (talvolta sotto forma di finanziamento a mega progetti di dubbia utilità  con le imprese italiane protagoniste e vere beneficiarie) – continua il rapporto – . Oppure tramite la cancellazione o riconversione di debiti coi Paesi poveri, debiti ormai illegittimi o inesigibili viste le condizioni disastrate della finanza pubblica dei loro governi. Quello che cresce invece sono le spese militari dell’Italia e l’impegno nelle missioni di guerra, come l’Iraq e l’Afghanistan, in cui peraltro la “quota” di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario rispetto alle operazioni militari stesse è limitata”. (ec)

Cipsi: “Prendiamo atto del fallimento della cooperazione”

Rapporto Sbilanciamoci. Il commento della ong: “Oggi dobbiamo saper cogliere le nuove sfide, rispondendo con scelte coraggiose, di alto livello e prospettiva. Ma denunciamo con forza la mancanza di volontà  politica di percorrere nuove strade”

Roma – “È il tempo della speranza, non c’è più tempo per l’attesa! Non esisterà  più la cooperazione internazionale così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino ad oggi. La cooperazione era nata per ridurre le diseguaglianze. Oggi dobbiamo prendere atto del suo fallimento e saper cogliere le nuove sfide, rispondendo con scelte coraggiose, di alto livello e prospettiva. È fondamentale lavorare insieme sui beni comuni, ognuno a partire dal proprio territorio, dalle sue realtà , da casa sua”.

L’Italia conferma il suo ruolo sempre più marginale nelle politiche europee di cooperazione internazionale ed è fanalino di coda nelle classifiche dei donatori e negli impegni economici presi. Questa la chiara fotografia che emerge dal Libro Bianco sulle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo in Italia, presentato stamattina a Roma dalla Campagna Sbilanciamoci!. Il quadro che emerge è quello di una cooperazione italiana allo sbando ed ormai marginale. “Tutti siamo consapevoli delle difficoltà  economiche e della crisi che stiamo vivendo anche a livello europeo – commenta Guido Barbera, presidente di Solidarietà  e Cooperazione Cipsi, coordinamento di 45 associazioni di solidarietà  e cooperazione internazionale – ma la situazione italiana di riduzione progressiva degli aiuti e di tagli indiscriminati alle risorse per la cooperazione, è frutto di una specifica politica che ha dimenticato di dover essere al servizio di tutti i cittadini e della vita”.

“Denunciamo con forza la mancanza di volontà  politica di percorrere nuove strade, che è ben evidenziata dal Libro Bianco – sottolinea Barbera -. Sostenere un aiuto pubblico basato principalmente su aiuti al settore privato è una visione miope, che perde di vista i veri valori su cui si basa la cooperazione, la solidarietà  e le relazioni tra i popoli. Si continua a tenere conto solo degli interessi delle grandi imprese coinvolte in mega progetti di dubbia utilità . Si continua a perdere di vista il fatto che la cooperazione internazionale è e resta la politica più economica e più efficace per costruire la sicurezza, una politica fatta di ponti e non di muri, di rispetto e non di rigetto. La cooperazione italiana non può continuare a rimanere indietro. Di fronte ai profondi mutamenti sociali che stanno avvenendo in questo periodo nel nostro paese. Di fronte ad un risveglio della società  civile che ha risposto positivamente alla sfida dei referendum, riconoscendo la centralità  dei beni comuni e della protezione dell’ambiente. Di fronte ai difficili scenari che vengono da molti paesi del Mediterraneo e che ci impongono di pensare a politiche di integrazione e accoglienza rispetto ai flussi migratori”.

“È necessario un cambio di rotta del governo italiano, che parta dalla revisione della Legge 49/87 – commenta ancora Barbera -. È fondamentale riavviare un dibattito parlamentare che superi una legge ormai obsoleta e che introduca direttrici nuove rispetto alla cooperazione internazionale. Noi abbiamo in mente un modo nuovo di fare cooperazione. La cooperazione non è costituita da aiuti, assistenza, progetti, infrastrutture, e neanche dalla risposta a emergenze o calamità . È prima di tutto mettersi in relazione con le persone e le comunità  del Sud del mondo, rispettando le differenze che esistono tra gli attori in campo. La cooperazione deve guardare non ai bisogni, ma ai diritti, attraverso l’auto-organizzazione della società  civile dei paesi ricchi e dei paesi più poveri. Oggi più che mai, conclude Barbera, continuiamo a credere in un’Italia costruttrice di civiltà  e garante dei diritti fondamentali per tutti. Ci auguriamo che anche il governo italiano voglia finalmente ascoltarci e contribuire a questa Italia”.

 

Libro Bianco, Marcon: “Uno sfacelo, l’Italia ha azzerato i fondi”

Il portavoce della campagna Sbilanciamoci ha ricordato che il nostro paese spende 2,5 miliardi per gli investimenti militari a fronte di 200 milioni per la cooperazione. I flussi verso il Sud costituiti in larga parte dalle rimesse degli immigrati

ROMA – “Negli ultimi tre anni c’è stato un vero proprio sfacelo dei finanziamenti alla cooperazione e degli impegni internazionali, Siamo ormai il fanalino di coda dell’Ocse su questi temi e i fondi del ministero degli Estri sono stati azzerati. Molte ong e funzionari ministeriali continuano a far bene il loro lavoro, ma intorno la cornice è totalmente bacata. In questo momento non c’è nessuna iniziativa di qualità  o di rilievo internazionale che venga portata avanti”. È duro il commento sullo stato dell’arte della cooperazione in Italia di Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci!, che questa mattina a Roma ha presentato così il Libro bianco 2011 sulle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo in Italia.

Marcon ha ricordato che i flussi di denaro verso il sud del mondo sono costituiti in larga parte dalle rimesse degli immigrati che lavorano all’estero e che con quei soldi assicurano una vita dignitosa ai loro familiari. Con cifre che in Italia superano di gran lunga i fondi stanziati per la cooperazione. “I soldi messi a disposizione del ministero equivalgono a quando si spende per la costruzione di un solo cacciabombardiere F35- aggiunge il portavoce di Sbilanciamoci!-. In Italia vengono messi a disposizione più di due miliardi e mezzo di euro per gli interventi militari all’estero a fronte di duecento milioni stanziati per la cooperazione. Questo vuol dire che siamo un paese che non ha idea del suo profilo internazionale. Le prospettive- aggiunge- a nostro avviso sono quelle di andare oltre l’aiuto, che implica un rapporto asimmetrico, mentre il problema vero da porre è il rapporto tra la cooperazione e la coerenza di alcune politiche, come il rapporto tra finanza e sviluppo”.

“Siamo di fronte a un vero e proprio welfare al contrario, i paesi più poveri finanziano il nostro consumismo- sottolinea Andrea Baranes della campagna di riforma per la Banca mondiale-. I fondi si spostano dal Sud al Nord, ma si tratta di finanziamenti legati a flussi illeciti. Nel 30% dei casi sono soldi legati ai traffici di droga, armi e esseri umani ma la maggior parte, un buon 60% è costituito dall’evasione fiscale delle imprese multinazionali che fanno il loro business nei paesi del Sud”. Baranes ha sottolineato inoltre che quella dei “paradisi fiscali” è una zona grigia gigantesca in cui non c’è una giurisdizionale internazionale e quindi il problema è particolarmente difficile da risolvere.

Maria Egizia Petruccione portavoce del Cini (Coordinamento italiano network internazionali) ha posto l’accento, invece, sui motivi per i quali a fronte di un grande fermento, la società  civile italiana non riesce a incidere realmente sulle scelte politiche. “Sono vent’anni che ripetiamo le stesse cose ma non veniamo ascoltati- afferma- è necessario, quindi fare una riflessione su di noi. Perché uno dei motivi è sicuramente l’estrema frammentazione della società  civile, che non riesce così a fare massa critica e farsi rispettare dalle istituzioni”. Petruccione ha quindi proposto ai rappresentanti delle altre associazioni e ong di lavorare tutti insieme in vista delle prossime elezioni politiche per far inserire nei programmi elettorali le proposte della società  civile. Ricordando l’ottimo successo al referendum dei comitati per i beni comuni, Francesco Petrelli, dell’associazione delle Ong italiane ha sottolineato che è necessaria una vera e propria “battaglia culturale”. “Bisogna far entrare nel dibattito pubblico e nell’agenda politica la questione sociale mondiale- aggiunge-. Siamo di fronte a un paese che sta prendendo coscienza dal basso del suo ruolo. Ma bisogna ripartire da una rappresentanza unitaria del mondo delle ong, che tenga conto anche dei nuovi attori sociali, come per esempio chi lavora nel mondo del commercio equo e solidale”. (ec)

 

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