L’informazione al tempo di al-Jazeera

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Hafez al-Mirazi, uno dei conduttori di punta del network arabo, non è mai più andato in onda. L’esperimento, dunque, non ha funzionato. Basta questo per dire che al-Arabiya non sia un media indipendente? No di certo, anche perché la storia del giornalismo è piena di cronisti ‘oscurati’per motivi politici. Al-Mirazi, però, diceva una cosa interessante: ”Il canale televisivo per il quale lavoro non osa dire una sola parola sul re saudita Abdallah o sul regime saudita”.

Il punto è interessante e controverso. Al-Arabiyaal-Jazeera e le altre, fin dal primo giorno, hanno sostenuto i moti in Tunisia, Egitto, Yemen e così via. Un atteggiamento di supporto evidente, a volte a scapito della precisione nella verifica delle fonti. Un altro esempio è quello delle dimissioni di Ghassan Ben Jeddou, responsabile della sede di Beirut di al-Jazeera, per divergenze con il network rispetto alla copertura di notizie dalla Siria e dalla Libia ritenuta di parte. Un caso, negli ultimi giorni, che ha riguardato anche la blogger lesbica siriana rivelatasi un cittadino Usa di 40 anni.

Senza ombra di dubbio, però, il protagonismo dei media arabi non ha limiti. ”Stiamoperdendo la guerra dell’informazione. I canali televisivi Usa mandano in onda spot, mentre al-Jazeera in Usa cresce in audience perché fa vero giornalismo”. A dirlo Hillary Clinton, Segretario di Stato Usa, di fronte 
alla Commissione Esteri del Senato statunitense. Ha ragione? Secondo Mohammed El Oifi, politologo ed editorialista di Le Monde Diplomatique, si. E lo studioso individua, in particolare, tre punti di rottura – in particolare parlando di al-Jazeera – rispetto al passato.

Nel mondo arabo, prima del 1995 e della nascita di al-Jazeera, il dominio dell’informazione era di matrice saudita. Con l’idea che solo i media insediati all’estero– a Londra o Parigi – godessero di una minima libertà  di espressione. Per El Oifi, al-Jazeera ha il merito di fare informazione dal ‘dentro’, anche dando voce a tutte le opposizioni. Esclusa quella del Qatar. Un altro elemento di cambiamento, sempre secondo lo studioso, è il tramonto del monopolio libanese nel giornalismo che, a suo dire, era caratterizzato da posizioni filosaudite. Ultimo cambiamento quello della politica transfrontaliera, che ha smussato il potere di intervento dei governi, creando un’agorà  araba che – per El Oifi – è stata determinante per la stagione dei sommovimenti arabi.

Non c’è concorrenza, nonostante parliamo di un universo di 700 canali satellitari, ma tutti accomunati da una stretta dipendenza dagli stati. Al- Jazeera è la televisione del Qatar,ma non parla mai del Qatar. Come se il Corriere della Sera non avesse la cronaca di Milano”. Questo il parere di Andrea Morigi, giornalista di Libero che (con Hamza Massimiliano Boccolini) ha scritto il libro Media e Oriente, edito da Mursia. ” Al-Jazeera è diventata famosa, nel 2001, per la copertura del conflitto in Afghanistan, dove non c’era nessuno. Quando si è l’unico attore su un teatro, si può dire quello che si vuole. Ci fossemaggior concorrenza sarebbe meglio. D’altro canto, restando su al-Jazeera, si parla di un’agenzia che fa gli interessi del Qatar in politica estera, ma fa anche gli interessi dei nemici dei nemici del Qatar. Ha una redazione composta in gran parte da professionisti provenienti dall’ambiente dei Fratelli Musulmani, per non parlare del telepredicatoreYoussuf al-Qaradawi, al quale si permette di dire qualsiasi cosa, anche di invitare a imitare i nazisti rispetto agli ebrei dopo l’operazione Piombo Fuso”, continua Morigi, che ha studiato a fondo al-Jazeera, al-Arabiya e le altre.

”In sostanza ci sono due aspetti: da un lato la mancanza di pluralismo dell’informazione, dall’altra una tendenza al fondamentalismo che però non riflette nemmeno più ilsentimento delle piazze in Egitto, in Siria o in Tunisia. Non sono, con ogni probabilità , rivoluzioni nate per introdurre la sharia in questi paesi, ma per ottenere l’introduzione della democrazia. Che è una cosa ben diversa”. Una critica dura, quella di Morigi, che però non manca di riconoscere il potere di cambiamento al-Jazeera. ”Al-Jazeera è nata come un’innovazione. Si parla della prima tv araba che ha dato l’opinione e il suo contrario, che da il nome a un programma molto famoso, un talk show simbolo della televisione, Gli ospiti si azzuffano, come in Occidente. Vero anche che vengono intervistati anche i portavoce dell’esercito israeliano, ma bisogna vedere come vengono presentate le opinioni degli intervistati in sede di montaggio. Così si fa un’informazione apparentemente completa, ma distorcendola nel suo orientamento. Questo l’hanno mutuato dall’Occidente e lo hanno fatto molto bene”, commenta il giornalista.

Che individua, però, molti punti oscuri. E alcune differenze tra i media arabi. ”Secondo me, rispetto al terrorismo, c’è un punto debole, in riferimento all’Iraq e all’Afghanistan. Anche rispetto al competitor principale, al-ArabiyaAl-Jazeera trasmette, senza commento, qualsiasi contenuto, compreso il video di un attentato di al-Qaedaal-Arabiya (non a caso chiamata al-Ebraiya nei forum integralisti) ha un programma famoso – condotto da una donna non velata – che mostra il fallimento personale di coloro che hanno abbracciato la lotta armata. Un tentativo, questo, di favorire la deradicalizzazione dell’informazione, come avviene a livello politico in Arabia SauditaYemen, mentre al-Jazeera dà  le notizie – come è suo diritto – ma a mio avviso senza un apparato critico sufficiente”.

Una donna senza velo. Vecchia polemica, questa, alimentata dalle dimissioni di cinque giornaliste di al-Jazeera, nel 2010. Loro stesse, in un comunicato, si dissero polemiche contro gli equilibri interni all’azienda che puntava sempre sugli uomini. E’ cambiato qualcosa? ”No, per le donne non cambia nulla in al-Jazeera, mentre qualcosa si muove altrove – risponde Morigi – In Egitto va in onda una trasmissione che parla di vita coniugale, e quindi sessuale. Il modello di riferimento rimane quello della vita di Maometto, ma la presenza femminile è abbastanza consistente. Rispetto al velo, questo dipende dagli equilibri interni dei vari paesi”.

Una nuova realtà  è ormai affermata. Come i media arabi influenzano quelli occidentali e viceversa? C’è un tentativo di emarginare le voci come al-Jazeera in Europa e Usa? ”I media arabi non sono emarginabili, per il satellite e non solo, basti pensare che in Europa arriva persino la televisione di Hamas con i suoi programmi per bambini martiri suicidi. Quello che cambia nel confronto tra l’informazione occidentale, anche rivolta al mondo arabo, e l’informazione araba è che alcuni network importanti come la Bbc o le reti televisive francesi sono riuscite a mettere in piedi canali in lingua araba, ma questo tentativo non sembra funzionare come nel caso di al-Hurra, la tv fondata in Iraq dagli Usa”, spiega l’autore di Media e Oriente. ”L’approccio delle tv occidentali verso il mondo arabo è difficile, anche perché mancano professionisti che conoscano sufficientemente l’arabo e la situazione, ma c’è anche da dire che al-Jazeera e non solo, per qualche periodo, sono state la fonte esclusiva d’informazione per l’Occidente essendo gli unici attori sul teatro. C’è una sorta di dipendenza delle tv occidentali nei confronti di quelle arabe cosa che non accade al contrario, avendo le tv araba corrispondenti che fanno bene il loro lavoro”.


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