«Mai più suddite, ora riforme»

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«Le donne sono molto più coraggiose degli uomini e da tempo stanno dimostrando questo coraggio sfidando i divieti imposti dai vertici sauditi» commentava ieri l’attivista Mohammed al Qahtani. «Non mi sorprenderebbe – ha aggiunto – se avessero un ruolo determinante nella nostra battaglia per le riforme». È presto per affermare che le saudite saranno l’elemento trainante del cambiamento in Arabia Saudita, come lo sono già  state in Tunisia e in Egitto. Ma ieri le donne hanno mosso un passo importante nella battaglia per i diritti in un paese con una struttura sociale indietro di secoli, lontano anni luce da un sistema politico democratico ma che gode del pieno sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa grazie alle sue ingenti riserve petrolifere e alla sua politica filo-occidentale in Medio Oriente. Rispondendo agli appelli lanciati attraverso i social network, ieri le saudite si sono messe al volante per la prima manifestazione ufficiale dal 1991, quando un gruppo di pioniere sfidò i vertici dell’unico paese al mondo che proibisce alle donne di guidare. Quelle donne, molte delle quali docenti universitarie, pagarono un prezzo altissimo: l’isolamento e la perdita del lavoro. Ma la loro lotta non è stata vana.

Facebook e Twitter hanno dato voce nella rete ad una svolta che colora la grigia storia del regno dei Saud. Uno dei primi tweet ieri mattina è stato scritto dall’utente “monaeltahawy”. «Mona Eltahawy, prima! Siamo appena ritornati dal supermarket, ho deciso di iniziare la giornata guidando fino al negozio». «Oggi sono colma d’orgoglio, grazie sorelle – ha scritto poco dopo “Axelanden”, un’insegnante – dopo aver guidato, sono entrata nella mia scuola e tutti mi hanno guardato con rispetto». «Stiamo tornando dal supermercato. Mia moglie ha deciso di cominciare la giornata mettendosi alla guida sia all’andata che al ritorno», ha comunicato il giornalista Tawfiq Al Saif. «Mia moglie Maha ed io siamo appena rientrati da un giro in auto di 45 minuti. Ha guidato per le vie di Riyadh», ha annotato fiero in un altro tweet Mohammed al-Qahatani, presidente dell’Associazione saudita dei diritti civili e politici. Da Riyadh a Jedda, da Dammam a Khobar, decine saudite si sono autodenunciate con post apparsi su «Women2drive», la pagina Facebook dedicata alla protesta contro il divieto di guida.
Lanciata due mesi fa sui social network, la campagna andrà  avanti «fino alla pubblicazione di un decreto reale che autorizzerà  le donne a guidare». E anche se ieri sera non era noto il numero delle saudite che in tutto il paese hanno violato il divieto, la promotrici intendono andare avanti, avendo al proprio fianco tanti uomini, incuranti delle minacce degli ultraconservatori e dei rimproveri di altre donne che non riescono ancora a liberarsi dal peso soffocante delle pesanti discriminazioni che subiscono. Dietro la protesta ci sono anche motivazioni economiche. Diverse famiglie hanno almeno un autista con uno stipendio medio di circa 2mila riyal (370 euro). Ma da anni l’economia saudita non tira più, la disoccupazione giovanile sale e tante famiglia non possono più permettersi di aver un autista. Gli uomini perciò sono costretti ad accompagnare fisicamente mogli, sorelle e figlie anche per dei banali acquisti. Così la segregazione delle donne, per decenni uno dei pilastri del consenso sociale in Arabia saudita, sta diventando un peso insostenibile. Le gerarchie wahabite però non mollano e, nel silenzio-assenso della monarchia, continuano ad usare la religione a loro piacimento per tenere in prigione le saudite. «Permettere a una donna di guidare significherebbe provocare un miscuglio di generi che metterebbe la donna in serio pericolo e porterebbe al caos sociale», recita la fatwa che nel 1991 confermò l’assoluto divieto per le donne di mettersi al volante.
Ieri il pensiero delle saudite che hanno guidato è andato alla 32enne Manal Sharif, arrestata alle tre del mattino del 22 maggio scorso per aver caricato su YouTube un filmato che la ritraeva alla guida nella città  di Khobar e rilasciata dopo nove giorni di carcere grazie a una ritrattazione che aveva tutta l’aria di essere stata estorta con la forza. Di lei non si è più saputo nulla ma Manal, nel suo silenzio, ha vinto la sua battaglia.


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