Mai più “tossici” ma malati da curare

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Medici e pazienti-tossicodipendenti da una parte, uniti in un condiviso piano terapeutico; amministratori sanitari e di governo dall’altra, spesso bloccati dalle contraddizioni. È quanto si intuisce dalla ricerca commissionata a GfkEurisko da Federserd, l’associazione che riunisce e rappresenta gli operatori dei 564 Sert nazionali. Proprio oggi, in prossimità  della Giornata mondiale contro la droga del 26, i dati verranno resi pubblici a Milano, ma siamo in grado di anticiparne i numeri essenziali.
GfkEurisko – come ha spiegato la direttrice delle indagini quantitative dell’istituto, Stefania Fregosi – ha distribuito 400 questionari in 100 Sert sul territorio nazionale, in forma anonima. Ne sono tornati indietro, esaurientemente compilati, ben 378. E già  questo è un dato importante visto che le domande sono spesso personali e delicate. Inoltre l’80% si dichiara soddisfatto del percorso terapeutico suggeritogli perché «permette di condurre una vita normale e stabile».
È il riconoscimento di quella che si definisce “alleanza” terapeutica medico-malato, che punta sul rigore della terapia ma anche sulla responsabilità  del paziente, cui sempre più spesso (70%) viene consegnata la medicina “in affido”, e non più in ambulatorio, per permettergli di lavorare e vivere come gli altri. Basti dire che, secondo i dati Eurisko, «la decisione di iniziare una terapia è una scelta personale: nella quasi totalità  dei casi è il paziente a decidere di intraprendere il percorso di cura».
Siamo al superamento di un’assicella culturale, che ha visto per decenni i «tossici» marcati dallo stigma sociale, senza altra via d’uscita che non fosse la permanenza in una struttura più o meno reclusoria e punitiva. «L’icona più diffusa – chiarisce Pietro D’Egidio, a capo del Sert di Pescara e segretario Federserd – è il drogato relitto umano sui marciapiedi. Ma oggi il consumo di droghe fa parte della più generale cultura dell’eccesso e molti di quelli che consumano droghe sono integrati nella società . Nei Sert non ci occupiamo di emarginati ma di malati. E, con 100mila pazienti in cura, sottraiamo ai trafficanti un miliardo e 700 mila euro l’anno. Eppure i Sert sono pochi e non ci sono investimenti. Gli operatori vi lavorano in media già  da 24 anni ma non si sa a chi passeranno il testimone: solo il 7% ha meno di 45 anni. E al senatore Giovanardi (delegato alle politiche contro la droga) suggerisco di non liquidare il documento Onu sulla droga ma di formulare proposte utili e concrete».

 


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