Alta velocità . Quel simbolo dell’eterno conflitto tra modernizzazione e natura

Loading

Gli scontri in Val di Susa sembrano riaprire una ferita antica nel nostro Paese, quella del conflitto tra modernizzazione e tutela della natura, sviluppo e salute pubblica. La rappresentazione di questo antagonismo ha un forte valore simbolico che costituisce da sempre il cavallo di battaglia della cultura e della propaganda ambientalista in Italia e non solo. Nei principali paesi europei, però, un simile campo di tensioni è ormai governato con un efficace protocollo di compensazioni, campagne di comunicazione e regolamentazioni del débat public che accompagnano la realizzazione di ogni grande opera. Senza dubbio in Italia abbiamo ancora molto da imparare al riguardo se il ministro degli Interni è giunto a invocare il passepartout del fantasma terroristico e i “cattivi maestri” di ieri sono stati sostituiti dai “cattivi comici” di oggi.
Per recuperare lo scarto tra simbologia e realtà  e provare a spiegare come mai questa raffigurazione tradizionale delle relazioni tra sviluppo e territorio ancora resista nell’immaginario collettivo nonostante i notevoli passi in avanti fatti in campo legislativo, politico e civile, forse è utile ricordare i due momenti e le modalità  con cui in Italia si è posto per la prima volta il tema del rapporto fra industrializzazione e tutela ambientale.
Il primo caso conduce nel cuore di una fabbrica tipica agli albori del capitalismo italiano. Edgar Meyer ne I pionieri dell’ambiente ha individuato l’origine dello scontro tra le ragioni dello sviluppo industriale e quelle della difesa della natura nella valle trentina di Vallagarina, ove nel 1927 la Montecatini costruì una fabbrica di alluminio rimasta attiva sino al 1983. A metà  degli anni Trenta scoppiarono vaste proteste organizzate dagli abitanti del luogo colpiti dalle emissioni di fluoro dell’impianto che cominciarono a danneggiare prima il bestiame e le coltivazioni e poi gli uomini. La rivolta, con scontri di piazza e un notevole protagonismo femminile anche perché la malattia colpiva in particolare i bambini che si riempivano di macchie blu, fu sedata dal regime fascista perché la fabbrica stava assumendo un ruolo strategico nella produzione bellica. La Montecatini risarcì in segreto i locali senza però assumersi ufficialmente la responsabilità  del danno, ma il vero conflitto scoppiò tra i contadini e gli operai, i quali temevano di perdere il lavoro a causa delle proteste. Dentro questo evento simbolo dello sviluppo industriale si trova la matrice di un doppio atteggiamento: da un lato uno Stato repressivo e, dall’altro, una cultura operaia insensibile alle tematiche ambientali percepite dai lavoratori come lesive del loro protagonismo sociale.
I tratti peculiari di questa via italiana alla modernizzazione trovarono in Pier Paolo Pasolini e nella sua distinzione tra sviluppo e progresso il critico più ascoltato. Egli avrebbe reinventato il mito agreste del bel tempo perduto a uso e consumo del ceto medio neo-urbanizzato che non aveva sperimentato le immani fatiche e miserie della vita contadina dei propri genitori. Non a caso la massima influenza di questo pensiero si esplicò quando entrò in crisi il modello di sviluppo fordista e si fece strada un’idea regressiva del progresso in coincidenza con lo shock energetico del 1973.
Il secondo momento infatti si ebbe nel 1977 con la nascita del movimento anti-nucleare a Montalto di Castro, ove, nel mese di marzo, si riunirono ventimila persone per celebrare la “Festa della vita” e il 28 agosto si svolse la prima manifestazione nazionale. In questo movimento la violenza e il parossismo ideologico di autonomia operaia e degli indiani metropolitani si mescolarono con le denunce di intellettuali come Dario Fo e Guido Ceronetti e con l’impegno pacifico delle prime associazioni ambientaliste, dei radicali e della società  civile organizzata in comitati di artigiani, contadini, villeggianti e proprietari terrieri. Non mancarono blocchi ferroviari, sabotaggi di cantieri e veri e propri attentati: un ordigno incendiario venne lanciato contro la sede del Tar di Roma e contro il consolato francese per vendicare la morte di un militante antinuclearista ucciso dai gendarmi transalpini. Dal punto di vista paesaggistico la battaglia di questo movimento ebbe esiti paradossali: grazie al referendum del 1987 il programma nucleare fu bloccato, ma a Montalto di Castro si costruì comunque una centrale, un “ecomostro” poi riconvertito in impianto termoelettrico ancora attivo. Tuttavia il vero successo del movimento fu un altro: riuscire a isolare i violenti facendo prevalere le ragioni e le modalità  di una protesta pacifica e civile.
Queste due storie paradigmatiche aiutano a spiegare perché la ferita del rapporto tra ambiente e sviluppo non si è mai rimarginata del tutto nel nostro Paese: a causa di uno Stato ostile o inefficiente, per il ritardo con cui il mondo operaio e sindacale hanno preso coscienza dell’importanza di una cultura ecologica e della necessità  di uno sviluppo sostenibile e perché la battaglia ambientale a volte è stata occasione di strumentalizzazione politica violenta da parte di una minoranza estremista. Quest’ultimo punto appare oggi quello decisivo: se non si riuscirà  a isolare chi soffia sul fuoco dello scontro armato, anche le motivazioni e i timori dei No Tav e del mondo ambientalista saranno oscurati fino a scomparire del tutto.


Related Articles

Effetto serra sul business. Cambia il clima degli affari

Loading

I mutamenti climatici entrano nelle previsioni della finanza. E gli investimenti si spostano (il manifesto, 16 marzo 2007)

Nucleare, 1000 miliardi di euro in 10 anni

Loading

Ucraina. Il budget «atomico» esposto nel libro di Hessel «Esigete! Un disarmo nucleare »

Campania, via libera agli inceneritori

Loading

? Terra dei fuochi © Mauro Pagano

Terra dei fuochi. La protesta dei comitati al Quirinale. Il decreto è quasi legge

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment