Il Pdl, un partito a metà 

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IL PDL ha eletto segretario Angelino Alfano. Per acclamazione. Un modo di prendere le distanze dal proprio passato.Per marcare la discontinuità  dalla propria biografia. Dal “partito personale”, la cui identità  è legata, indissolubilmente, alla “persona” di Silvio Berlusconi. Il quale, in effetti, non ha solo “approvato” la scelta di Alfano. Ma l’ha voluta, imposta. Da ciò il dubbio, serio: non solo per il Pdl, ma per il Paese. Se sia davvero possibile liberare il “partito personale” dalla “persona” che l’ha creato. Renderlo, almeno, più “autonomo”. In grado di affermare una propria identità  e una propria organizzazione. Specifica. Perché la dipendenza assoluta da Berlusconi, per il Pdl, è una risorsa: quando l’immagine del leader è forte. Ma quando il Cavaliere perde credibilità , allora il partito soffre. Come avviene in questa fase. Lo certificano tutti i principali sondaggi. Anche quelli commissionati da Berlusconi. Il quale lo ha ammesso, implicitamente, di fronte al Consiglio nazionale, quando ha rammentato la caduta di popolarità  dei governi e di chi li guida, in Europa. Una tendenza evidenziata, in modo impietoso, dall’Atlante Politico di Demos, pubblicato da Repubblica una settimana fa. Da cui emerge come il consenso personale di Berlusconi sia crollato al 26%. Il livello più basso in assoluto da quando il Cavaliere è “sceso in campo”. L’Atlante Politico di Demos, inoltre, rileva come anche il Pdl sia sceso al 27%, nelle intenzioni di voto. Superato dal Pd (che, di suo, non ha fatto molto per meritarsi tutto questo). D’altronde, l’esito delle amministrative e dello stesso referendum ha offerto indicazioni esplicite, al riguardo. Più eloquenti di qualsiasi sondaggio. Da ciò il tentativo di “svoltare”, fornendo al Pdl quantomeno una leadership distinta. Alfano, appunto. Il quale presenta, sicuramente, uno stile personale diverso, da quello del Capo. Più misurato, meno aggressivo. Insomma: non fa “il padrone”. (Anche perché non lo è). Ricorre, per questo, alle risorse tipiche della legittimazione politica. Cerca di risvegliare l’orgoglio dei dirigenti e degli elettori. Fino ad azzardare una definizione nuova, sicuramente ardita. PdO: Partito degli Onesti.

Il problema è che l’elezione di Alfano è avvenuta per acclamazione, in Consiglio nazionale. Senza alcuna consultazione con gli iscritti. Senza, ovviamente, il ricorso alle primarie. Incoronato dal Capo. Il quale, peraltro, non ha certo abdicato. Ma resta sempre lì, ben posizionato al centro del partito e della scena politica nazionale. Senza che Alfano voglia – e possa – muoverlo da lì. D’altronde, come potrebbe? Inoltre, fra tutti i dirigenti del Pdl, Alfano è quello maggiormente identificato con Berlusconi. Non soltanto per storia personale, ma per il ruolo ricoperto. Ministro della Giustizia. Colui che ha legato la sua immagine, il suo stesso nome, al “lodo” e ad altri decreti finalizzati a risolvere, almeno provvisoriamente, gli infiniti guai giudiziari del Cavaliere. Il quale, non a caso, al Consiglio nazionale, ha ribadito come la giustizia (affidata ad Alfano-ministro) resti “la” priorità  per il Paese.
Diverso discorso sarebbe stato se Berlusconi avesse candidato alla guida del Pdl un altro leader. Magari Roberto Formigoni. Oppure Giulio Tremonti. Il quale gode di un livello di fiducia doppio rispetto a Berlusconi, tra gli italiani. Ma lo supera perfino tra gli elettori del Pdl (72% a 70%). Mentre il grado di fiducia verso Alfano appare superiore (o meglio, meno basso: 34%) rispetto a quello verso Berlusconi. Fra gli elettori italiani. Ma non fra gli elettori del Pdl (69%). Tremonti, tuttavia, ammesso che l’idea di guidare il partito lo possa interessare, avrebbe costituito un’alternativa vera. Al di là  dei giudizi di merito sulle sue politiche economiche e finanziarie, egli non è sicuramente gregario rispetto alle strategie del Cavaliere.
I problemi del Pdl, però, non possono essere riassunti nella figura del leader – per quanto dominante. Il fatto è che il Pdl, in sé, appare un soggetto ibrido e un poco anonimo. Molto diverso da Fi. Vero “partito personale” e “mediale” di massa, inventato e realizzato da Berlusconi a propria immagine e somiglianza. Un partito, peraltro, “nazionale”, distribuito in modo equilibrato fra le aree del Paese. In grado di riprodurre la tradizione dell’anticomunismo, traducendola in culto del mercato, del privato e dell’imprenditore. In grado, ancora, di coalizzare la Lega Nord con la Lega Sud (An), insieme ai neodemocristiani. E di assorbirne i consensi, quando gli alleati perdevano voti. Come una spugna.
Oggi non è più così. Il Pdl appare spostato territorialmente a Sud, dal punto di vista elettorale. E ciò lo condanna a continue tensioni con l’alleato padano. Oltre a disturbare l’identità  originaria del Cavaliere. Milanese e nordista. Non è un caso che il Pdl, alle amministrative, abbia ri-perduto Napoli. Ma, soprattutto, sia stato sconfitto a Milano. Per la prima volta, nella Seconda Repubblica. Inoltre, l’intento espresso da Alfano di costruire la “Casa dei Moderati”, dove accogliere coloro che si riconoscono nella famiglia dei “Popolari” europei, contrasta con l’orientamento politico degli elettori. Soprattutto dopo l’ingresso di An e la frattura con l’Udc. Come emerge dall’Atlante Politico di Demos, infatti, oltre il 40% degli elettori del Pdl oggi si definisce di Destra, il 37% di Centrodestra, solo il 7% di Centro. Nel 2007, la quota di elettori di Fi che si diceva di Destra era, invece, intorno al 28-30%. Nella storia di Fi, comunque, il peso degli elettori di Destra, prima di oggi, non aveva mai superato quello di Centrodestra.
Per questi motivi mi pare difficile che il Pdl possa andare “oltre” Berlusconi. Assumere una fisionomia specifica e autonoma. Perché, come partito, è squilibrato, dal punto di vista territoriale e dell’orientamento politico. Mentre dal punto di vista organizzativo e della leadership, resta un “partito personale”, che fa riferimento a una “persona” attualmente in crisi di credibilità . Insomma, è un partito a metà . Senza Berlusconi perderebbe la sua principale – forse unica – fonte di riconoscimento. Con Berlusconi – oggi – perde voti e consensi.
È lecito dubitare che Angelino Alfano – scelto dal Capo e acclamato dai dirigenti, ma non dagli iscritti e dagli elettori – possa condurre il Pdl oltre il guado.


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