La manovra-lampo ora è legge Napolitano: altre prove di coesione

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ROMA – La manovra-lampo è legge. Il via libera definitivo della Camera è arrivato ieri alle 18 (a ventiquattr’ore dall’approvazione al Senato) e mezz’ora dopo, il capo dello Stato l’aveva già  promulgata. Al presidente Napolitano sta a cuore soprattutto sottolineare un punto: la coesione nazionale grazie alla quale si è riusciti ad arginare per ora la fibrillazione dei mercati. Un metodo che, si augura Napolitano, dovrebbe valere per l’oggi ma anche per il domani. «Una straordinaria prova», la definisce il capo dello Stato che però non può restare isolata in un paese stretto dalla «morsa alto debito/bassa crescita» e che deve contribuire «a un vigoroso rinnovamento e rilancio del progetto europeo». Perciò – è il nuovo monito – spetta agli opposti schieramenti «confrontarsi nel modo più aperto e concludente sulle scelte da adottare», anche perché solo così «si rafforza la fiducia nell’Italia delle istituzioni europee e dei mercati». Del resto, osserva il presidente della Repubblica, non si è verificata alcuna rinuncia alle proprie posizioni «da parte di qualsiasi forza politica né alcuna confusione di ruoli e di responsabilità ».
Come reagiranno in realtà  i mercati si capirà  lunedì. Berlusconi, incassata la manovra, mostra ottimismo: «L’Italia è più forte anche se le incognite della crisi economica restano». Il premier lascia l’aula dove prima è passata la fiducia (316 sì, 284 no e 2 astenuti) e poi l’ok al provvedimento complessivo (314 sì, 280 no e 2 astenuti). Ha in mano un foglietto di dichiarazioni, che legge ai cronisti, evidentemente per misurare le parole. Si difende dalle accuse di essere stato finora latitante: «Io ho lavorato sodo in questi giorni all’unica cosa che era essenziale fare: la manovra». Tra lui e Tremonti è gelo; il governo sembra a un passo dall’implosione; sempre più coinvolto in inchieste giudiziarie. Però ci sono quei 34 voti di scarto della maggioranza che consentono – sostiene il premier – di stare tranquilli. «Non me ne andrò – afferma discutendo con un gruppetto di deputati del Pdl – finché non sarò riuscito ad abbassare le tasse».
Che debba andarsene, e subito, è quanto chiedono le opposizioni. Bersani, il segretario del Pd, definisce la manovra «spudoratamente classista, con tasse su tasse», e la responsabilità  dell’opposizione è stata dettata solo dalla necessità  di evitare che l’Italia fosse aggredita dai mercati. «Ma la nostra responsabilità  finisce qui», avverte il leader democratico. Né sono accettabili i tagli che si scaricano sulle famiglie e le fasce deboli, dallo stop alle detrazioni fiscali, ai ticket. «Crisi al buio? Il buio è adesso. Ci voglio energie fresche e una ripartenza. Questa si chiama elezioni», dice in aula Bersani. Di Pietro è ancora più esplicito rivolgendosi a Napolitano: «Signor presidente della Repubblica, noi abbiamo accolto il suo appello alla coesione ma è l’ultima volta che lo facciamo». Il moderato Casini, leader dell’Udc, è radicale nell’analisi: «Berlusconi è il problema, non può essere la soluzione», e la manovra, non ostacolata per senso di responsabilità , trascinerà  ancora più giù i consumi, mentre andavano semmai toccati i grandi patrimoni. Alla fiducia risultano assenti Urso, Scalia, Ronchi, i finiani ormai ex, tornati nell’orbita di Berlusconi. Antonio Martino, ex ministro, vota sì alla fiducia e no al provvedimento.


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