«Assad uccide il dialogo»

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 DAMASCO.Aref Dalilah è uno dei quattro esponenti dell’opposizione siriana – formata da intellettuali e personalità  indipendenti più che da partiti politici organizzati – che ha incontrato nei mesi scorsi Butheina Shaaban, consigliera del presidente Assad incaricata di preparare la Conferenza per il dialogo nazionale. Un settantenne alto, capelli brizzolati, molto distinto, con modi gentili che mettono subito a proprio agio. Secondo alcuni membri dell’opposizione, Dalilah potrebbe essere un serio candidato alla presidenza di una «nuova» Siria. Dopo aver studiato Economia in Russia, è divenuto preside della Facoltà  di Economia dell’Università  di Damasco. Durante la Primavera di Damasco, la breve stagione di libertà  e di dibattito culturale e politico animato nei «saloni», mudabara, nel 2000/2001 con l’insediamento di Bashar Al Assad dopo la morte del padre, insieme ad altri intellettuali come lo scrittore Michel Kilo, ha firmato la Dichiarazione di Damasco, un manifesto politico-culturale che chiedeva riforme democratiche. Ma dopo aver tenuto una lezione in cui criticava le politiche di liberalizzazione del governo è stato arrestato con con l’accusa di «cospirazione con potenze straniere» e di «indebolire il morale della nazione». Adottato da Amnesty International come prigioniero di coscienza, è stato rilasciato in seguito a un’amnistia speciale di Bashar Al Assad nel 2009. Gli anni di prigione hanno peggiorato le sue condizioni di salute. Aref Dalilah è un alawuita di Latakia, la stessa minoranza sciita a cui appartiene la famiglia presidenziale. La nomina di un alawuita, secondo alcuni oppositori, potrebbe disinnescare scontri confessionali e la paura di eventuali ritorsioni contro la minoranza alawuita, accusata di aver beneficiato di privilegi d’ogni genere.

Come vede il futuro prossimo della Siria dopo 100 giorni di proteste?
Come altri esponenti dell’esposizione, ho ricevuto l’invito ufficiale a partecipare il 10 Luglio all’incontro preliminare della Conferenza per il dialogo nazionale proposta dal governo. Ma non intendiamo partecipare, perché abbiamo posto delle condizioni, tra le quali un «ambiente» che permetta tale dialogo: la fine immediata della repressione contro le proteste e la libertà  d’espressione. Oggi l’opposizione per tenere un incontro ha bisogno dell’autorizzazione dei servizi di sicurezza, non sono permesse iniziative pubbliche, non abbiamo media per comunicare con i cittadini. Durante la primavera di Damasco, la stagione dei saloni, ci siamo presi noi stessi degli spazi di libertà . Non ci erano certo stati «concessi» dal regime, che infatti dopo poco ha chiuso tutto. In questo momento da un lato ci sono le proteste della strada e dall’altra c’è il regime, ognuno fermo sulle proprie posizioni.
Come giudica i tentativi di organizzazione dell’opposizione?
Io non ho partecipato ancora ad alcuna delle due conferenze che si sono tenute a Damasco. Come opposizione abbiamo proposto un documento di iniziativa nazionale per una soluzione politica in otto punti. La prima richiesta è la fine delle violenze. Proponiamo inoltre una conferenza nazionale in cui siano invitati rappresentati di tutti i gruppi, anche chi organizza le proteste della strada, a differenza della conferenza del governo che ha la pretesa di «scegliere» chi sono gli oppositori. Dobbiamo da un lato riuscire a convincere il regime, che ha scelto la soluzione militare e continua a non fare degli sforzi seri per una soluzione politica della situazione, ad accettare questi punti. E dobbiamo riuscire a persuadere chi protesta che se il regime accetterà  questi punti, allora si aprirà  una fase nuova. Chi protesta chiede la fine del regime. Ed io rispondo con un’altra domanda: in che modo deve avvenire questa fine? Noi non vogliamo soltanto sostituire una nomenclatura con un’altra, vogliamo cambiare veramente e profondamente tutto il sistema. Il partito Baath dovrà  essere un partito come gli altri. Questo è il nostro spazio, stretto, come opposizione. Ma dobbiamo tentare, io faccio politica da quarant’anni.
Da economista, cosa pensa della situazione economica?
Si tratta di una situazione estremamente grave, perché l’economia è ferma e il paese non può andare avanti così più di du, tre mesi. C’è bisogno di una soluzione, di sforzi seri, di far tornare il paese a funzionare.


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