Scricchiola l’impero dello Squalo anche in America il futuro è incerto

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NEW YORK – Dopo la traumatica chiusura del tabloid News of the World, che Rupert Murdoch acquistò 42 anni fa quando era il giornale più venduto del mondo, arriva l’altro shock. È il ritiro (a malincuore) dell’offerta da 7,8 miliardi di sterline con cui il magnate dei media doveva blindare il controllo di British Sky, la più ricca tv commerciale inglese con oltre dieci milioni di abbonati. Il futuro dell’impero Murdoch appare incerto, scosso dallo scandalo sulle intercettazioni illegali. Deputati del Labour auspicano che sia «l’addio all’Inghilterra» per un uomo che ne ha spesso condizionato le campagne elettorali, un oligarca capace di fare e disfare i leader con spregiudicate capriole ideologiche: a favore di Margaret Thatcher, poi di Tony Blair. Il presidente dei liberaldemocratici inglesi spinge l’attacco più in là , evocando una crisi di legittimità  e un disastro per la successione ai vertici dell’azienda: «Sono inadatti, lui e i figli, a dirigere questo gruppo». Il Financial Times vede difficoltà  ben oltre i confini del Regno Unito: «Subiscono un colpo le ambizioni di consolidare l’impero delle pay-tv in Europa». La velocità  con cui i democratici americani hanno chiesto al Congresso indagini su eventuali reati di Murdoch contro le leggi Usa, indica che i suoi guai potrebbero colpire la provincia più ricca dell’impero, il pilastro newyorchese di News Corp.
La prima pedina sacrificata allo scandalo dello spionaggio criminale, News of the World, è emblematica per il ruolo che occupa nella storia inglese, e nella biografia personale di Murdoch. Vecchio di 168 anni, il tabloid segnò l’inizio (1969) della marcia trionfale nel Regno Unito per il «provinciale delle ex-colonie», l’editore partito da Adelaide (Australia) e ben deciso a umiliare l’establishment sclerotizzato di Londra: non solo quello dell’industria editoriale, ma le classi dirigenti in generale. Con gli acquisti successivi di altri tabloid e del blasonato Times, la lotta contro il potere sindacale, l’appoggio alla rivoluzione neoconservatrice, la scalata è impressionante e nel 1992 alla vittoria del premier John Major una delle testate del gruppo può titolare con arroganza: «Siamo noi, The Sun, ad aver vinto».
Dai trionfi alle catastrofi: non è la prima volta che Murdoch viene dato per finito. Vent’anni fa la sua News Corp sfiorò il fallimento. Quella che si consuma in questi giorni è la seconda crisi più grave nella sua storia. Nel frattempo sono passate appunto due decadi, e il vecchio leone forse ha perso la grinta di una volta. Tutti gli osservatori, politici e finanziari, concordano su un giudizio: è stata pessima la gestione dell’emergenza, lente le risposte, tardive e sempre inadeguate. Ne esce malissimo il figlio James, erede designato alla guida del gruppo. Tutto il vertice aziendale sembra malato di congiure interne. Nella bufera non è scattato lo spirito di squadra. Le notizie filtravano con difficoltà  anche all’interno. Lo stesso Rupert a tratti sembra essere stato privato di informazioni preziose.
Forse è lui stesso ad essersi isolato perché troppo distratto da un suo giocattolo più recente, il Wall Street Journal. Il quotidiano economico newyorchese, che News Corp ha strapagato, è l’arma per inseguire un sogno: sconfiggere il New York Times, sul mercato, sul piano editoriale, e nella sfera politica. Abbattere il bastione del giornalismo progressista, il quotidiano preferito dall’America liberal. Al termine di quell’epica impresa, l’ottantenne naturalizzato americano vede un altro ambito trofeo politico, la conquista della Casa Bianca da parte di un «suo» candidato. La Fox News cannoneggia quotidianamente contro Barack Obama, sui suoi schermi la campagna elettorale è cominciata dal primo giorno in cui il presidente afroamericano varcò la soglia dello Studio Ovale. In questa partita Murdoch si gioca fin troppo.
La rottura avvenuta a Londra fra il premier conservatore e il suo ex-amico editore, può prefigurare un analogo incidente in America. Se i repubblicani dovessero selezionare un moderato alla Mitt Romney, saranno scintille con la Fox che ha alimentato la destra più fanatica e radicale del Tea Party. Una rielezione di Obama sarebbe ancora peggio. Già  oggi i democratici sono pronti a usare il maxi-scandalo inglese per infliggere colpi a News Corp: dopotutto la società  ha sede legale a New York, i suoi crimini possono essere perseguibili anche negli Stati Uniti. In quanto agli azionisti, hanno tollerato le «passioni» di Murdoch – i giornali piegati a strumento politico – finché il loro impatto economico era irrilevante o modesto. Ma la rinuncia almeno temporanea al controllo totale di BSkyB è un segnale d’allarme sulla tenuta aziendale: stavolta a pagare i danni è un pezzo pregiato del gruppo. Si aggiunge l’avventura disastrosa di MySpace, che Murdoch acquistò sperando di battere Facebook: pagato 580 milioni di dollari nel 2005, quel sito sociale è stato svenduto il mese scorso per 35 milioni. Mentre insegue i suoi sogni di onnipotenza da «grand’elettore dei re», Murdoch sembra a disagio nelle sfide dell’informazione digitale.


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Owen Bowcott è una delle firme più conosciute del Guardian. Attualmente per il quotidiano britannico si occupa di questioni legali.

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