Tav, Maroni straparla e il Pd deraglia

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 ROMA.«Violenza di stampo terroristico», «sono d’accordo con chi ipotizza il reato di tentato omicidio per chi ha lanciato bottiglie incendiarie contenenti ammoniaca contro i nostri poliziotti». Straparla, il ministro Roberto Maroni, esponente di un partito (la Lega) che quanto a dichiarazioni eversive si concede spesso qualche disinvoltura di troppo, dalla secessione in su. Il ministro dell’Interno, che ha responsabilità  non solo politica sul comportamento delle forze dell’ordine in Val di Susa, preconfeziona la sentenza contro i manifestanti. La suggerisce all’indirizzo dei magistrati che da ieri indagano sulla giornata campale: terrorismo, naturalmente, e tentato omicidio.

Un film già  visto, nel decimo anniversario del G8 di Genova, un pessimo remake: ieri in rete piovevano testimonianze di botte fuori ordinanza da parte delle forze di polizia. E c’è da indagare parecchio, in tutte le direzioni però: Marco Ferrando (Pcl) che marciava ne corteo partito da Giglione, dice di essere testimone «al pari di migliaia di persone, dell’uso metodico di lacrimogeni ad altezza d’uomo e del lancio mirato di macigni dall’alto dell’autostrada, da parte di agenti dei carabinieri e della guardia di Finanza, contro i manifestanti. Ho visto sulla pelle di decine di manifestanti i segni inequivocabili di pallottole di gomma».
Nel frattempo, ancora da copione già  sperimentato, la politica litiga sugli scontri. E la polemica finisce per oscurare le ragioni per le quali da anni migliaia di persone oppongono all’alta velocità  in Val di Susa. Al ministro risponde Pier Luigi Bersani, attento a non apparire buonista. Ma non c’è pericolo: il Pd non è secondo a nessuno, quanto a invocazione dell’uso della forza in valle. Sono stati i democratici, per primi, a sfidare Maroni chiedendo, a giugno, chiedendo «un segnale preciso» in direzione dell’apertura dei cantieri (lo hanno fatto i piemontesi Merlo ed Esposito, ultrà  pro-Tav). Un’insperata copertura politica ai manganelli di Maroni, che non se l’è fatto ripetere.
Bersani chiarisce che «aggredire poliziotti che stanno difendendo un legittimo cantiere è un reato», e al più si concede un distinguo sul fatto «non spetta a Maroni dire quale è il reato». Il Pd si sente già  partito di governo quindi non c’è speranza per la protesta locale contro un’opera che del resto il centrosinistra ha voluto e varato. Anzi, a scanso equivoci Bersani esagera, chiedendo di «tirare una riga verso chi conduce atti violenti ma anche chi in qualche modo volesse giustificarli».
Il leader Pd ce l’ha con Beppe Grillo, che infatti ieri ha corretto le sue dichiarazioni sull’eroismo «dei valsusini che manifestavano pacificamente» e non dei «black bloc annunciati dai media da giorni. Li trovino, li arrestino».
Altri dirigenti democratici invece ce l’hanno con Sel e Idv, che pure a Torino sono in giunta con il pro-Tav Fassino, e chiedono di espellerli dalla futura alleanza. «Le posizioni assunte da Vendola e da alcuni esponenti Idv non sono coerenti con quella che sarà  la piattaforma programmatica con cui il Pd cercherà  di vincere le elezioni», scrive l’ex sindaco Sergio Chiamparino, al momento senza ruolo nel Pd, lui che invece voleva essere candidato premier. Dopo i fatti di domenica, scrive, «esiste un problema serio per il Pd, ed è quello relativo agli alleati», quindi «occorre capire, e in tempi rapidi, quali sono compatibili con un’idea di cultura di governo e quali no».
Vendola è un altro leader in posizione non facile. È in con Fassino nel capoluogo (alle regionali era alleato di Bresso, altra fan Tav), ed è presidente di un partito che ha fatto della nonviolenza ragione di rifondazione delle pratiche politiche. Da giorni ripete: «La violenza è sempre condannabile», ma questo non vuol dire «criminalizzare il dissenso» e le ragioni della protesta.
Gli scontri si accaparrano le aperture di tg, giornali e siti. Così gli esponenti Pd, in coro con Pdl e leghisti, hanno gioco facile a dribblare le ragioni dei valsusini, espresse in tonnellate di studi sull’inutilità  e sull’antieconomicità  dell’opera. «È un treno, non un mostro», dice Chiamparino, come se la discussione si svolgesse due secoli fa sulla Napoli-Portici, la prima ferrovia, come dire da una parte c’è il progresso, dall’altra il medioevo. Argomentazioni che fino a qualche settimana fa nel Pd venivano usate correntemente per difendere la privatizzazione dell’acqua, per fare un esempio recente.
Chiamparino si approssima di più alla sostanza della questione quando dice che «la Tav è una metafora». Non del progresso, però: della sordità  dei governi di fronte alle ragioni che contraddicono gli interessi di pochi imprenditori che contano, evidentemente, di più della comunità  valsusina. Le cui ragioni erano oscurate ieri più di sempre. Il verde Bonelli condanna la violenza che ha «imbavagliato le famiglie e i sindaci che manifestavano», poi però chiede perché «nessuno risponde sul fatto che il finanziamento europeo ammonta solo al 10 per cento del totale». E «perché non si dice agli italiani che la linea ferroviaria attuale è utilizzata al 30 per cento e che quindi non vi è alcuna necessità  di fare la Tav per garantire il trasporto di merci tra Torino e Lione», chiede Paolo Ferrero, Prc. «Né si dice che la Tav costerà  allo stato 15 miliardi di euro e cioè che i ticket che il governo vuole reintrodurre serviranno a pagare la Tav?».


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