Una crisi da dimenticare

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Bruxelles. Gli allarmi crescono d’intensità  e drammaticità  giorno dopo giorno. Ma la risposta dei governi e dell’opinione pubblica internazionale resta distratta e inadeguata: nel Corno d’Africa, colpito da quella che è considerata “la peggiore siccità  in quasi mezzo secolo”, 12 milioni di persone, secondo le stime Fao, mancano di cibo e sono in una situazione critica. Con il Pam, il programma alimentare mondiale, e l’Oxfam, l’Agenzia dell’Onu per l’agricoltura ha lanciato la scorsa settimana un appello per aiuti internazionali.
LA CRISI UMANITARIA fa affluire in media quasi 1500 persone al giorno – e c’è chi parla del doppio, di 3000 – dalla Somalia al campo profughi di Dadaab, in Kenya, che accoglie ormai 380mila persone, mentre era stato allestito per ospitarne 9mila. Da Nairobi, Action contre la faim denuncia la “catastrofe” della Somalia, dove 250mila bambini soffrono già  di malnutrizione.
Nelle ultime settimane c’è stata un’escalation nella drammatizzazione delle denunce, da crisi a emergenza a catastrofe. Papa Benedetto XVI ha espresso “profonda preoccupazione”, specie di fronte alla sofferenza anche dei più piccoli. E la Chiesa fa eco al dolore del Papa stanziando prime somme poco più che simboliche – ieri 300mila la Caritas.
Pure la comunità  internazionale dà  segnali di reazione, ma lo fa ancora in modo misurato e compassato, nonostante, a Ginevra, l’Unhcr stia organizzando “un enorme carico” di aiuti umanitari, con un ponte aereo verso la zona di confine tra Kenya e Somalia (tra l’altro, 600 tonnellate di tende in arrivo dal Pakistan e altri 6 voli umanitari entro la fine del mese). In certe regioni della Somalia, dopo la siccità  sono arrivate forti piogge, che mettono anch’esse a repentaglio milioni di persone, specie anziani e bambini, troppo deboli per mettersi in salvo.
In tempi di crisi ovunque, mentre in Europa avanza l’egoismo del ‘ciascun per sé’, l’attenzione dei media e la mobilitazione dell’opinione pubblica non decollano. E i governi impegnati in missioni militari più o meno di pace e comunque onerose sul piano economico e delle vite perdute esitano all’impegno umanitario.
Mentre i ministri degli esteri dei 27 dell’Ue, riuniti ieri a Bruxelles, non hanno preso alcuna decisione, la Gran Bretagna ha promesso un aiuto d’urgenza di quasi 60 milioni di euro per le vittime della siccità  nel Corno d’Africa, le popolazioni di Somalia, Etiopia, Gibuti, Kenya e Uganda. Ed il premier David Cameron, in visita in Sudafrica, parla “del dramma più grave da una generazione in qua”, prima di accorciare la visita e rientrare a Londra per arginare le conseguenze dello ‘scandalo Murdoch’.
SE LA SOMALIA è tra le priorità  della politica estera italiana, come ha recentemente detto il sottosegretario agli esteri AlfredoMantica,èl’oradidimostrarlo. Mantica era in visita a Mogadiscio il 10 luglio e ieri rappresentava l’Italia a Bruxelles (Frattini non c’era): ai colleghi, ha riferito della sua missione. Quello somalo, in particolare, è un quadro noto e fragilissimo: le istituzioni federali di transizione dovevano scadere il mese prossimo, ma sono state prorogate di un anno, all’agosto 2012. La situazione resta precaria: ai contrasti tra etnie e personalità  politiche s’è ora aggiunta la carestia L’assetto costituzionale ipotizzato e basato sugli accordi di Gibuti del 2008 non è stato risolutivo, perché senza un processo di riconciliazione non c’è stata la legittimazione del governo di transizione.
Le questioni che rendono l’area prioritaria per la sicurezza internazionale sono la presenza della pirateria e la minaccia, a essa in qualche misura collegata, del terrorismo internazionale, oltre alla posizione strategica del Paese in una Regione difficile, dove l’intervento militare, umanitario e di stabilizzazione, dell’operazione Restore Hope (1992-1993), voluta da Bill Clinton, è proseguito con l’impegno dell’Onu prima e dell’Unione africana ora, senza però portare al superamento dello stato di conflitto latente. Anzi, la Somalia è andata frammentandosi, laddove la presunta uniformità  linguistica, religiosa e culturale della nazione somala non facevano presagire un destino di balcanizzazione. E che la drammaticità  della situazione sia percepita dalle popolazioni locali lo dimostra il fatto che gli integralisti islamici shebab, che due anni or sono avevano quasi cacciato le organizzazioni umanitarie, ora ne patrocinano il ritorno “anche se non sono musulmane”.


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