Il segretario Pd indebolito. Segnali dai sondaggi

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ROMA — Il «caso Penati» rischia di indebolire la leadership di Pier Luigi Bersani. Finora il segretario ha sempre avuto dalla sua la forza dei risultati elettorali, che hanno fatto registrare una lenta ma costante risalita del Partito democratico. E questo gli ha consentito di arginare la minoranza interna.
La questione morale, però, pesa sugli ultimi sondaggi. Il Pd è tornato sotto quota 28 per cento. In una settimana ha perso lo 0,8: non è poco e segna un’inversione di tendenza che non può essere trascurata dal gruppo dirigente di Largo del Nazareno. Tanto più che anche il Pdl è in netto calo e però il Partito democratico non riesce ad approfittare di questa crisi della maggioranza di centrodestra e a intercettare nuovi consensi.
In questo contesto, quindi, non è casuale l’uscita di Matteo Renzi, che ieri in un’intervista al Corriere della Sera, è tornato a pungolare il partito e a criticarne i vertici: Bersani? «La maggioranza degli italiani pensa che gli attuali protagonisti abbiano esaurito il loro compito».
Il sindaco di Firenze, che dopo le vittorie del Pd alle amministrative e ai referendum, sembrava destinato a restare nel capoluogo toscano e a non spiccare il balzo nell’agone della politica nazionale, evidentemente, sente di avere di nuovo delle chance.
Tant’è vero che si è definitivamente ritirato dalla corsa alla presidenza dell’Anci, lasciando in campo a scontrarsi per quella poltrona Piero Fassino e Michele Emiliano.
In questa situazione di incertezza del Pd torna alla ribalta anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che oggi firmerà  i due quesiti dei referendum elettorali (che verranno sottoscritti anche dal sindaco di Torino e da quello di Bari). Finora Bersani aveva contrastato l’iniziativa pervicacemente e con grande determinazione: ora, invece, non sembra più avere la forza per farlo. Adesso ha smorzato i toni e smussato le parole. Dice che si tratta di una «extrema ratio», non esclude che alla fine il Pd possa cavalcare la battaglia referendaria e non attacca più i dirigenti del Partito democratico che sostengono il referendum, come aveva invece fatto nel luglio scorso.
Insomma, il «caso Penati» sta influendo abbondantemente nell’evoluzione della situazione interna del Pd. Per Bersani l’eventuale decisione del suo ex capo segreteria di rinunciare alla prescrizione dei reati che gli vengono contestati rappresenterebbe una boccata d’aria. Ma, come ripete lo stesso leader del Pd, queste sono decisioni che spettano al diretto interessato e ai suoi difensori, anche se il pressing dentro il partito è fortissimo.
È perciò solo apparentemente bizzarro il fatto che i più duri nei confronti dell’ex braccio destro di Bersani siano proprio esponenti della maggioranza interna del Pd (Luciano Violante, Rosy Bindi, Enrico Letta): lo fanno perché un ulteriore passo indietro di Penati aiuterebbe il leader. Il quale si vede accerchiato dagli avversari politici, che sfruttano questo caso giudiziario per dare addosso a lui e al partito.
Un attacco mirato a cui ieri hanno risposto alcuni esponenti del Pd: non tantissimi, però, e non tutti di primo piano. E anche questo è un segnale delle attuali difficoltà .
Nella maggioranza del partito c’è chi ritiene che anche un’eventuale espulsione di Penati potrebbe giovare all’immagine del segretario, rilanciandone la leadership. Si tratta però di una questione più che delicata. Se ne occuperà  lunedì 5 settembre la Commissione di garanzia, che è stata convocata a Roma appositamente per quella data.
Ma il presidente di questo organismo, Luigi Berlinguer, ha già  messo le mani avanti. E in una lunga intervista all’Unità , rispondendo proprio a una domanda sulla possibilità  che Penati venga espulso, ha dichiarato: «È tutto molto incerto, non si può dire un sì o un no secco, c’è bisogno di un’interpretazione complessa. Se c’è un corrotto non si può tenerlo nel partito, ovviamente, ma deve essere accertato. Per com’è attualmente lo statuto del Pd per adottare una simile decisione c’è bisogno di certezza giudiziaria o di forte certezza politica, documentata».
La palla, dunque, torna a Penati. Sta a lui decidere se «sacrificarsi» ulteriormente e consentire così a Bersani di riprendere saldamente nelle sue mani la guida del Partito democratico e di poter tornare ad aspirare alla leadership dell’intero centrosinistra.


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