La deriva del partito personale

Loading

Enfatizzata dall’uso dei media. La Seconda Repubblica: ruota intorno al partito di Berlusconi. “Personale” e non personalizzato. Perché, a differenza di quel che avviene nelle altre democrazie occidentali, il partito non agisce come una macchina per selezionare e sostenere il leader. Viceversa, è il leader a creare il partito. A fornirgli regole e valori. Identità  e organizzazione. Un “partito personale”, riassunto nel corpo del Capo (come ha precisato Mauro Calise nella nuova edizione del suo saggio, edito da Laterza nel 2010).
Ne asseconda le scelte e gli interessi. Ne riflette il destino. Un modello vincente, riprodotto da tutti. In base alla diversa disponibilità  di risorse – simboliche, mediali e, naturalmente, economiche e finanziarie. Per prima la Lega, l’altra “madre” della Seconda Repubblica. Partito dei ceti medi privati, della provincia produttiva del Nord. Anticentralista e antiromano. Ha ereditato il retroterra elettorale della Dc, assumendo una forma organizzativa simile al vecchio Pci. Un partito carismatico e personale a basi di massa. Che ha bisogno di Bossi per “stare insieme”. Perché Bossi ne incarna l’identità  e la storia, l’immagine e il linguaggio. Anche dopo la malattia. Tanto più dopo la malattia. Bossi ha portato con sé la sofferenza fisica e l’ha esibita come un simbolo. L’icona della Padania promessa (per citare Biorcio).
La Seconda Repubblica fondata da – e su – Berlusconi, nel vuoto politico prodotto da Tangentopoli, è cresciuta a immagine e somiglianza del Cavaliere. Oggi, se ci guardiamo intorno, vediamo solamente imitazioni. Partiti personali, più o meno riusciti. Più o meno realizzati. Non solo la Lega di Bossi. Ma anche l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, cofondatore della Seconda Repubblica, in quanto figura simbolo di Mani Pulite. E Sel. Cosa era e cosa sarebbe senza l’affermazione di Nichi Vendola? D’altronde, la Federazione della Sinistra, la stessa Rc, dopo il “ritiro” di Bertinotti, sono divenute invisibili. Scivolando verso il Terzo Polo: come scindere l’Udc da Casini? Tanto meno l’Api da Rutelli, anche perché è rimasto ormai quasi solo (Tabacci fa storia a sé. Figura di valore, all’inseguimento ostinato della Prima Repubblica proporzionale). Anche Fli: è la Lista Fini. I Radicali, d’altra parte, per primi, hanno importato il modello americano, presentandosi negli anni Ottanta come lista personale, incarnata da Pannella e, poi, dalla Bonino.
Resta il Partito democratico, ultima stazione del viaggio del centrosinistra all’inseguimento di Berlusconi. Condotto, prima, attraverso l’Ulivo di Prodi e Parisi, sostenitori dell’Unione tra diverse culture politiche. Una sorta di Nuova Dc spostata a sinistra. Fino al Pd di Veltroni. Partito “esclusivo” e maggioritario. Fondato sulle primarie, usate non solo per selezionare i candidati alle cariche istituzionali – nazionali e locali. Ma per eleggere le cariche del partito. Una sorta di riproduzione dei vecchi congressi. Necessaria a regalare un’investitura popolare e di massa a “un” leader.
Ebbene, tutti questi esperimenti, realizzati con maggiore o minore successo, oggi appaiono gusci svuotati di senso e consistenza. Per la de-composizione del modello, che segue la crisi del fondatore. D’altronde, se l’identità  e la coerenza del partito dipendono dalla figura e dal “corpo” del Capo, come pensare che il partito possa sopravvivere al suo declino? Ciò appare evidente nel caso del Pdl, un non-partito-personale. La scomparsa di Berlusconi – praticamente introvabile da settimane, mentre infuria la crisi interna e globale – ha s-travolto il Pdl. Non basterà  l’investitura di Angelino Alfano a salvarlo. Perché è impensabile un partito personale senza l’unica persona che gli dia senso e risorse.
Diverso il discorso della Lega, che dispone di un’organizzazione diffusa sul territorio e di una classe politica sperimentata, a livello centrale e locale. Tuttavia, è attraversata da differenze interne profonde. A livello territoriale, ma anche di identità  e cultura. E ancora: personali. È, probabilmente, questo il principale motivo per cui la leadership di Bossi – per quanto vissuta con crescente insofferenza all’interno – non viene ancora contestata apertamente e in modo diretto. Per timore del big bang. Tuttavia, se Berlusconi uscisse di scena, anche Bossi ne seguirebbe la sorte. Non solo, ma in questo caso, l’intero sistema dei partiti personali verrebbe centrifugato. Perderebbe il baricentro.
In fondo, è per questa ragione che il Pd ha dimostrato capacità  di ripresa e di reazione, negli ultimi mesi. Perché resta un partito incompiuto e im-personale. Privo di un’organizzazione solida – leggera o pesante, non importa – e di una leadership condivisa. Semmai, divisa. Un partito in-definito, anche dal punto di vista della prospettiva. I recenti scandali, peraltro, ne hanno logorato la legittimazione morale. La pretesa “diversità “, rivendicata, trent’anni fa da Berlinguer, come ha rammentato nei giorni scorsi Eugenio Scalfari.
Da ciò la crisi profonda che scuote e disorienta il sistema politico e le istituzioni di questa Repubblica, modellata da Silvio Berlusconi a propria immagine e somiglianza. Ora che il motore è inceppato, l’intero universo appare disassato. Perché il declino dei leader avviene dopo che la personalizzazione ha logorato i partiti. Così ci avviamo a un futuro-prossimo-già -iniziato: senza leader e senza partiti. Ciò spiega il ruolo assunto dal presidente Napolitano. L’unico leader che goda di fiducia – in questo sistema privo di leader e di partiti. Per propri meriti “personali”, ma anche perché non ha partito.
Da ciò il paradosso della nostra Repubblica – fondata dai partiti e ridisegnata dai partiti “personali”. Oggi è divenuta una Repubblica presidenziale. Di fatto.
Non dobbiamo pensare, tuttavia, a una deriva inevitabile. La crisi dei partiti personali ha, infatti, sollecitato la reazione di molte “persone”, che agiscono nella società  civile e sul territorio, ma anche alla periferia dei partiti. Ne abbiamo avuto esempio in occasione delle amministrative e dei referendum. Da ciò la speranza – e qualcosa di più. Che le persone di buona volontà  e i mille segmenti del movimento invisibile cresciuto in questi mesi non si rassegnino.


Related Articles

«La Costituzione, via maestra»

Loading

Costituzione_330px
Oggi ai Frentani di Roma l’assemblea con Rodotà, Landini, Zagrebelsky, Don Ciotti

Lorenza Carlassare: «Vogliamo mobilitare l’opinione pubblica per difendere i valori della Carta». Attuare la Costituzione, non cambiarla. Lo scrivono Lorenza Carlassarre, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky nel documento «La via maestra» pubblicato sul sito dell’associazione «Libertà e Giustizia».

Iraq, Roma congela i raid dei Tornado “Meglio concentrarsi sulla missione libica”

Loading

Pressioni dell’Aeronautica per un ruolo alla pari con gli altri membri della coalizione ma il governo non vuole aprire uno scontro in Parlamento

Luzi, trovati altri 7 milioni

Loading

ROMA — Altre case, ma soprattutto altri sette milioni di euro. In totale sono così oltre 20 i milioni di euro che il tesoriere della Margherita avrebbe prelevato a fini personali dai conti del partito.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment