La polveriera di Crotone è pronta a riesplodere

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 CROTONE. A mezzanotte i segni della battaglia sono ancora tutti lì. Stesi sull’asfalto, residui di tre ore di rivolta per reclamare diritti e dignità . Cocci di bottiglia, assi di legno, calcinacci, pezzi di tufo, un tappeto di rabbia finalmente esplosa. Cinquanta somali richiedenti asilo, nella notte tra lunedì e martedì, hanno messo a ferro e a fuoco il Cara «Sant’Anna» di Isola Capo Rizzuto.

Una sommossa sviluppatasi prima all’interno del centro, poi propagatasi fuori, lungo la Statale Jonica rimasta bloccata fino a notte fonda. Sassaiole, mezzi divelti, auto di Carabinieri e Polizia danneggiate. Mentre i turisti sbarcati nel prospiciente aeroporto civile di Crotone assistevano allo scenario di guerriglia, ignari spettatori di una rivolta per la libertà . Migranti e polizia in assetto antisommossa si sono fronteggiati a lungo tra cariche e lanci di oggetti. Fino a quando i migranti hanno deciso di ripiegare, rientrando nel Sant’Anna.
Il bilancio è pesante: tre arresti tra i manifestanti e 35 feriti tra cui undici agenti. «Si è trattato soltanto di un’emulazione della protesta avvenuta a Bari» ha detto quasi a voler minimizzare il questore di Crotone, Giuseppe Gammino, accorso sul posto. Vero, ma fino a un certo punto. Perché la rabbia covava da tanto, troppo tempo. Ad inscenare gli scontri sono stati, in effetti, decine di somali, ospiti del Campo in contatto telefonico con i migranti di Bari-Palese. Lamentando ritardi o dinieghi nelle procedure di riconoscimento dello status di rifugiati, e in alternativa reclamando un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari.
Ma, in realtà , la protesta ha riguardato tout court le condizioni di vivibilità  del Campo: pessimi servizi a cominciare dalla distribuzione dei pasti (non a caso la furia dei migranti si è accanita soprattutto sulla cucina, andata a fuoco), scarsa assistenza (legale e sanitaria), stress emotivo, costrizioni, soprusi, container fatiscenti in una struttura militarizzata, un tempo aeroporto militare. Il tutto puntualmente denunciato dai rapporti annuali di Medicine sans Frontieres e di altre organizzazioni umanitarie.
Rimanere all’interno di tali strutture senza avere cognizione del proprio futuro ha creato un disagio di massa, acuitosi giorno dopo giorno e divenuto il vero detonatore della rivolta. Nel centro, gestito dalle Misericordie di Isola Capo Rizzuto, le presenze fino a ieri raggiungevano quota 1400, quasi la capienza massima. Con gli ospiti stipati come sardine in condizioni climatiche di caldo torrido.
Una situazione di degrado al limite della sopportazione umana, in un centro chiuso e inaccessibile ad attivisti, giornalisti ed operatori del diritto. A cui persino ieri, nelle ore successive ai tafferugli, è stata interdetta l’entrata. Un’indegna censura, frutto di una circolare ministeriale fortemente voluta da Bobo Maroni, che interdice l’accesso a Centri di (poca) accoglienza dove vengono rinchiusi cittadini in fuga da persecuzioni etniche o conflitti regionali in cerca di quella speranza di futuro che la globalizzazione e lo sviluppo ineguale del pianeta negano là  dove sono nati. E che si perpetua nel sedicente Belpaese dove la rivendicata «cattiveria» di ministri nostrani priva i migranti di diritti ed identità . Che non produce certo «sicurezza» ma è foriera solo di frustrazione e conflitto sociale. Come i riots sulla Tangenziale di Bari e sulla Statale Jonica stanno lì a dimostrare.


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