L’altra faccia di Frattini

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 La Nato sapeva, la Nato non ha agito. Come scriviamo in queste pagine, l’Alleanza atlantica ha lasciato morire in mare un centinaio di migranti 90 miglia a sud di Lampedusa, evitando di soccorrerli per due lunghi giorni. Era già  successo alla fine di marzo, in un episodio denunciato per primo da questo giornale, in cui una barca con 72 migranti è stata lasciata alla deriva per quindici giorni da varie navi militari e perfino da un elicottero che si è avvicinato al natante. Risultato del mancato soccorso di allora: solo 9 dei 72 migranti sono rimasti in vita, bevendo le proprie urine e gettando mano mano in mare i corpi di chi non ce l’aveva fatta.

Bene fa quindi il ministro degli esteri Franco Frattini a chiedere un’inchiesta interna alla Nato per verificare le responsabilità  di questa nuova tragedia. E benissimo fa a chiedere una discussione in seno all’Alleanza su un adeguamento del mandato della risoluzione Onu 1973 che, avendo come obiettivo la «protezione dei civili in Libia», dovrebbe ragionevolmente anche prevedere il salvataggio in mare di tutte le barche di profughi in fuga dalla guerra in quel paese.
Il ministro ha ragione, ma è in totale contraddizione con una parte del suo governo. Non è stato solo l’altroieri il capogruppo della Lega al Senato Federico Bricolo, a chiedere alla Nato «che, in ottemperanza del mandato ricevuto blocchi le imbarcazioni in partenza da quelle coste e le rimandi indietro per evitare le troppe morti alle quali stiamo assistendo»? Indietro verso un paese in guerra, forse per fare in modo che quelle morti avvengano lontane dai nostri occhi.
Non è stata la stessa Lega a far approvare martedì scorso un ordine del giorno al Senato che impegna il governo a «esigere in tutte le competenti sedi internazionali che alle forze aeronavali attualmente impegnate nell’operazione Unified Protector siano assegnati compiti anche nel campo della prevenzione dei flussi migratori non controllati diretti dal Maghreb verso l’Europa»?
Insomma una parte di questo governo – forse non il ministro Frattini – vorrebbe usare le forze della Nato per operare quei respingimenti che la marina militare italiana ha fatto dal maggio 2009 al febbraio 2011 e che oggi non può più fare perché in Libia c’è la guerra e perché con la guerra è saltata l’alleanza anti-immigrazione con Gheddafi.
Per far capire di cosa stiamo parlando, basta ripercorrere i movimenti dei nove sopravvissuti del naufragio di fine marzo. Ebbene questi nove miracolati, trascinati indietro in Libia dalla corrente, hanno atteso il tempo necessario per recuperare le forze e sono ripartiti: oggi, quattro di loro sono in Europa (due in Italia), mentre gli altri cinque sono nel campo di Shousha, in Tunisia. Questo per dire quanto è sicura oggi la Libia dove la Lega vorrebbe rimandare i migranti. Se chi ha vissuto un’esperienza simile dopo un mese si reimbarca, vuol dire che non ha molte alternative.
Le responsabilità  della Nato in quanto accaduto negli ultimi giorni a 90 miglia da Lampedusa sono gravissime, come gravissimo fu il mancato soccorso di fine marzo. In questo come in quel caso, la Nato ha respinto le accuse. In questo caso, come in molti altri dall’inizio della guerra in Libia e anche negli anni precedenti, sono intervenute le motovedette italiane, che hanno evitato un bilancio ancora più tragico di quello che sembra già  pesantissimo. Il loro operato è come sempre encomiabile. Ma meno encomiabile è l’operato del governo (o di una sua parte), che non chiede alla Nato di salvare i migranti e condurli verso un porto sicuro, bensì di respingerli in Libia.
Perché il governo non solo avanza queste richieste, ma quando può agisce di conseguenza. Basta pensare a quanto accaduto poche settimane fa – il 10 luglio – sempre nel canale di Sicilia. Una nave spagnola dell’Alleanza atlantica, la Almirante Juan de Borbà³n, avvista un barcone in difficoltà . Presta soccorso. Cerca di aggiustare il motore in avaria. Non riuscendoci, carica a bordo i naufraghi: sono 111 persone, fra cui 17 donne e 8 bambini. A quel punto comincia un penoso gioco al rimpallo tra Italia e Malta su chi debba farsi carico dei profughi, su quale sia il porto vicino più sicuro e su dove debba attraccare la nave. Alla fine, dopo un’intera settimana la Almirante Juan de Borbà³n approda in Tunisia, scaricando i profughi in quel paese che – sia detto per inciso – dall’inizio della guerra in Libia ha accolto senza battere ciglio circa 600 mila persone.
Forse è una speculazione, ma sicuramente è lecito chiedersi se questo rimpallo di responsabilità  non sia alla base dell’omissione di soccorso. Se non sia stata la volontà  di non avere una nuova rogna a spingere la Nato a non intervenire.
Il ministro Frattini fa bene a richiamare l’Alleanza alle proprie responsabilità , ma non può ignorare che il governo di cui fa parte ha contribuito a creare le condizioni per cui gli interventi di soccorso in mare sono considerati un problema.

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IL PD
Un’interrogazione del marzo scorso

 «Il 16 maggio scorso presentammo un’interrogazione parlamentare in cui chiedevamo al ministro La Russa di verificare i casi denunciati di omissione di soccorso da parte di imbarcazioni Nato. L’indignazione di oggi da parte del governo, stride con l’assoluto silenzio di allora». È quanto dichiarano in una nota Andrea Sarubbi e Jean Leonard Touadi, deputati del Partito Democratico che citano l’inchiesta del «The Guardian», che a fine marzo scorso denunciò il caso di due jet Nato che sorvolando sopra un’imbarcazione in panne con 72 profughi a bordo, non intervenirono.


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