L’ultima idea Bossi-Tremonti: prendersi pure una parte del Tfr

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 Quando si vede un banchetto con tre carte sopra, ognuno sa – meno gli ingenui e i superfurbi – che lì c’è anche un truffatore. Quanto questo governo annuncia miracoli economici, anche.

L’ultima trovata pubblicitaria appartiene a Umberto Bossi, preoccupato di perdere definitivamente l’appoggio di parte dei lavoratori dipendenti del Nord (un’avvisaglia si è già  vista con le amministrative): «Abbiamo una sorpresa che permetterà  di raddoppiare gli stipendi». Detto da chi gli stipendi (presenti e futuri) li sta sfasciando a colpi di tagli a welfare e servizi sociali, non fa nemmeno ridere.
Andiamo a vedere nel dettaglio l’annuncio-truffa del leghista che annaspa. L’idea è semplice: rimettiamo il tfr (trattamento di fine rapporto) in busta paga. Due conti facili facili: per il tfr viene accantonato circa il 7% dello stipendio (la retribuzione annua divisa per il 13,5%) e quindi non si raddoppierebbe nulla; al massimo tra i 70 e i 140 euro in più al mese, oppure una «quattordicesima» per chi non ce l’ha (la maggioranza dei dipendenti, tutti i precari, ecc). Soldi «pochi, maledetti e subito», da spendere di corsa per arrivare un po’ più vicino alla fine del mese (la «crisi della quarta settimana» è da tempo slittata verso la terza). Meglio di un pugno in faccia, certo, ma non ci verrebbe «regalato» niente: il tfr sono soldi nostri, «risparmio forzato».
L’invenzione – ha ricordato persino Bossi – è merito del fascismo che, dopo la crisi del ’29, «per paura di rivolte, quando molte fabbriche chiudevano, fece in modo di far avere soldi ai lavoratori che perdevano il posto». Anche ora le fabbriche chiudono. Solo che Bossi e Tremonti sono addirittura meno svegli dei fascisti storici e quindi, in piena crisi, pensano di toglierlo.
In secondo luogo. Come verrebbe tassato questo (eventuale) «salario tornato disponibile»? Finché rimane custodito in azienda o all’Inps, infatti, subisce una tassazione distinta tra una parte fissa e una sulla rivalutazione mensile/annua (1,5% annuo fisso, più il 75% dell’incremento dell’indice dei prezzi Istat). Se subisse invece il prelievo ordinario in busta paga, magari maggiorato a causa del fiscal drag, ci sarebbe una perdita secca anche sensibile. Insomma: con una mano viene data subito un cifra netta minore di quella che attualmente finisce nel tfr, con l’altra viene fatto scomparire un istituto che – in tempi di crisi – funziona da ammortizzatore sociale, mentre in tempi normali permetteva di agire sulla mobilità  sociale (acquisto di casa, avvio di attività  per i figli, ecc) e sull’espansione dei consumi. Un modo di «far cassa» mentre si fa finta di «dare» qualcosa.
In terzo luogo. Per molti il tfr è già  stato dirottato verso i fondi pensione per costruire la famosa «seconda gamba» previdenziale, visto che quella pubblica veniva ridotta all’osso da un’orgia di «riforme delle pensioni». Si abolisce questa possibilità ? Si mantiene il diritto – c’è un contratto con i fondi – di usufruire di quanto maturato con questa «seconda gamba»? O si chiede indietro l’intera cifra già  versata, ovviamente con la rivalutazione «garantita dai mercati» (si era detta persino questa idiozia, allora…)? E i fondi, sono d’accordo? Cosa vorrebbero in cambio?
Quarto. Per le imprese sotto i 50 dipendenti (oltre il 90% del totale) si tratta di una mazzata. Quei soldi, ora, vengono usati dall’azienda fin quando il lavoratore non va in pensione. Con cosa possono sostituire questa «liquidità » improvvisamente prosciugata? Non a caso da Confindustria la proposta è stata accolta col più gelido dei silenzi (difficile presentarla come una «misura per la crescita»), in attesa di lumi da parte di fonti un po’ più attenbili dell’Umberto padano.
Le ipotesi al vaglio per «compensare» le imprese sono al momento tutte molto fumose (credito agevolato, intervento della Cassa depositi e prestiti, ecc). Ma non c’è dubbio che, alla fine, una soluzione vantaggiosa per imprese e fondi pensione potrebbe esser trovata. Tanto si tratta di decidere di cosa fare di soldi altrui. Ossia nostri.


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