Ma chi sono questi insorti?

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 La «comunità  internazionale», o dei «volenterosi», o degli «umanitari», o che dir si voglia, sta impazzendo per trovare una via d’uscita dal pantano libico in cui si è cacciata, a causa della brutale repressione di Gheddafi prima e alla spinta di personaggi del tutto squalificati tipo Henri-Levi poi, protesa a dare una legittimità  (e credibilità ) al Cnt, il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, il «governo» della «nuova Libia» riconosciuto forse con un po’ troppa precipitazione ormai da una trentina di paesi come «l’unico rappresentante legittimo» del paese che fu (?) del colonnello. Non sanno più che pesci pigliare di fronte ai segnali poco confortanti che arrivano dalla Cirenaica (per non parlare della Siria), dopo l’oscuro assassinio, il 28 luglio, del «ministro della difesa» Abdel Fattah Younes.

Ieri è stato il turno della Farnesina, ossia del povero ministro Frattini, che ha incaricato il «rappresentante italiano presso il Cnt» Guido De Sanctis (in pratica l’ambasciatore), di esprimere alle autorità  di Bengasi «l’attenzione particolare con cui l’Italia sta seguendo il delicato processo politico per la formazione del nuovo esecutivo», pur confermando (si fa per dire) «la fiducia del governo italiano che il Cnt saprà  trovare in tempi rapidi una soluzione alla impasse attuale in questa fase cruciale del conflitto», fase in cui «la comunità  internazionale deve poter contare su interlocutori assolutamente nel pieno delle loro funzioni…». Parole che nell’arzigogolo del linguaggio diplomatico suonano chiarissime. Si capisce la disperazione di Frattini (& company) che già  che c’è prova anche a mondarsi delle reponsabilità  per tragedie tipo quella dell’ultimo barcone pieno di profughi libici in fuga dalla guerra e lasciati al loro destino di morte dalla stessa Nato. Ieri nel Consiglio atlantico Nato l’Italia su «istruzioni» di Frattini ha «posto il problema» ai partner «sulla responsabilità  dell’Alleanza di proteggere e porre in salvo anche coloro che si imbarcano su mezzi navali per sfuggire a operazioni belliche». Come dire, quelle centinaia di morti non sono colpa nostra, dell’Italia (a cui il Cnt quale primo atto in cambio di riconoscimento e soldi, ha confermato la vigenza della parte più obbrobriosa degli accordi strategici firmati con Gheddafi nel 2009, quelli legati ai respingimenti). Naturalmente «le autorità  militari dell’Alleanza» hanno «fornito assicurazioni sull’impegno…».
Il fatto è che dopo l’assassinio di Younes nessuno capisce più bene quello che succede a Bengasi. Il «presidente» del Cnt, Abdel Jalil (ex ministro della giustizia di Gheddafi), ha annunciato le dimissioni in massa del «nuovo governo» e ha ordinato al suo «primo ministro», Mahmoud Jibril, di trovarne un altro, più credibile, che rimette un po’ d’ordine fra le quarantina di milizie più o meno autonome che stanno facendo la guerra ai gheddafiani e fra loro. Ma è forte il sospetto che il rimpasto serva a evitare la «commissione d’inchiesta» sui mandanti dell’eliminazione di Yuones perché forse porterebbe a trovare scheletri nell’armadio troppo imbarazzanti. Il «Comitato 17 febbraio», che racchiude i leader della rivolta meno compromessi con il gehddafismo o peggio, chiede dimissioni a raffica fra i 31 membri del Cnt.
Vedremo cosa uscirà  fuori da questo rimestio mentre sul terreno la impasse non dà  segno di sbloccarsi, fra un ricocorrersi di notizie difficili se non impossibili da verificare. Tripoli ha accusato la Nato di aver provocato un massacro di civili (85) con un raid vicino a Zlitan, sulla costa a ovest di Misurata. La Nato smentisce. Gli insorti avevano assicurato che in un raid Nato era stato ucciso uno dei figli di Gheddafi, Kamis, capo di una delle milizie più temibile (già  dato per ucciso in marzo…), ma martedì sera la tv libica ha mandato in onda un servizio in cui Kmais appare vivo e vegeto. Un esponente del Cnt sostiene che «Gheddafi sia ferito» e che si sia «rifugiato» in Ciad o Niger «per trovare altri mercenari»…
La Libia (con l’Iran) non si risparmia lo sfizio di protestare al Consiglio di sicurezza dell’Onu contro il comportamento «selvaggio» del premier inglese Cameron nella repressione della rivolta a Londra. Usando gli stessi termini impiegati per giustificare l’attacco alla Libia: «la comunità  internazionale non può restare a guardare tanta violenza», il Consiglio di sicurezza dovrebbe intervenire, Camero se ne deve andare in quanto «deligittimato dal suo popolo»…


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